Anniversari. Cento anni sono trascorsi dalla scoperta della relatività generale. Esattamente dieci anni prima, la relatività speciale era stata il frutto maturo che compiva le scoperte di una generazione di fisici. L’inclusione della gravitazione nel quadro relativistico giunse invece completamente inaspettata e fu l’atto creatore solitario e irripetibile di un singolo uomo. Notissima la risposta di Einstein a Sommerfeld che nel 1912 lo interrogava su altro: “Al momento mi sto occupando esclusivamente del problema della gravitazione e credo che riuscirò a superare tutte le difficoltà grazie all’aiuto di un amico matematico di qui. Ma una cosa è certa, nella mia vita non ho mai lavorato tanto duramente e ho l’animo riempito di un sacro rispetto per la matematica, le cui sottigliezze, nella mia ingenuità, avevo finora considerato come un lusso superfluo. In confronto a questo problema, l’originaria teoria della relatività è un gioco da ragazzi



Alla fine di giugno del 1915 Einstein si recò a Gottinga, la piccola città universitaria della Bassa Sassonia, centro del mondo scientifico di allora, per incontrare David Hilbert e Felix Klein ed illustrare lo stato delle sue ricerche in sei conferenze. L’incontro con Hilbert doveva rivelarsi decisivo per il completamento della teoria. “Sono entusiasta di Hilbert un uomo di energia e indipendenza di giudizio su ogni cosa sorprendenti (Einstein a Zannger – 1915). Così, dopo alcuni drammatici cambiamenti dell’ultima ora, il 25 novembre 1915 Einstein presentava finalmente all’Accademia prussiana le equazioni del campo gravitazionale, “la scoperta più preziosa della mia vita



A Gottinga aveva studiato Max Born ed era stato assistente di Hilbert e di Minkowski. Ora, nel 1915, anche Born era a Berlino, nominato professore straordinario di fisica teorica per sollevare Max Planck dagli obblighi dell’insegnamento. Il divampare della guerra lo aveva però quasi subito destinato al ruolo di consigliere scientifico dell’artiglieria. L’ufficio dove prestava servizio militare si trovava vicino all’appartamento di Einstein in Haberlandstrasse n. 5. Così, i due potevano vedersi frequentemente e discutere di fisica, di politica, di letteratura, arte e tutto il resto, intrecciando un’intensa amicizia che non sarebbe mai venuta meno, anche se ben presto si sarebbe nutrita esclusivamente di scambi epistolari; Born e Einstein si sarebbero visti per l’ultima volta nel 1928. 



Il carteggio, intitolato nell’edizione italiana di Einaudi del 1973 Scienza e Vita. Lettere 1916-1955, è stato ripubblicato da Mimesis quest’anno. Forse grazie anche alle confidenze di quei giorni berlinesi, Born fu tra i primissimi a comprendere e celebrare la bellezza e la gloria della relatività generale. “Caro Born, stamattina ho ricevuto le bozze del suo (sein) articolo per la Physikalische Zeitschrift che ho letto con un certo imbarazzo ma allo stesso tempo con un sentimento di felicità per essere completamente capito e riconosciuto da uno dei miei migliori colleghi. Ma, a parte il contenuto dell’articolo, era lo spirito di positiva benevolenza che l’articolo irraggiava che mi ha rallegrato — è un sentimento che, nella sua forma pura, fiorisce troppo raramente sotto la fredda lampada accademica. La ringrazio con tutto il cuore per avermi permesso di condividere questa felicità (prima lettera di Einstein a Born, 27 febbraio 1916)

Alla fine della guerra Born lasciò Berlino per Francoforte. Quasi subito gli fu però offerta la cattedra che era stata di Debye a Gottinga. Alla richiesta di un consiglio Einstein rispose: “La fisica teorica fiorirà ovunque tu (du) sarai — non c’è un altro Born nella Germania di oggi. […] La cosa migliore è seguire l’istinto senza pensarci su troppo a lungo. Inoltre, una persona come me, senza radici, non è qualificata per dare consigli. Le ceneri di mio padre giacciono a Milano. Ho sepolto qui mia madre qualche giorno fa. Io stesso mi son spostato qua e là senza sosta — straniero ovunque“. (Einstein a Born, 1920)

La profezia di Einstein si avverò oltre ogni aspettativa. Born accettò l’offerta, convincendo con uno stratagemma il Ministro dell’educazione ad assumere anche un fisico sperimentale, James Franck. Che fosse la scelta giusta fu provato non solo dal premio Nobel a Franck nel 1925 ma anche dal fiorire della fisica sperimentale a Gottinga fino al tragico 1933 che tutto spazzò via. Nei dodici anni trascorsi a Gottinga, Born si circondò di un manipolo di giovani allievi e collaboratori; tra questi, sette futuri premi Nobel: Heisenberg (1932), Fermi (1938), Pauli (1945), Wigner (1963), Maria Goeppert-Mayer (1963), Delbruck (per la medicina, 1969) e Herzberg (per la chimica, 1971). Born e sua moglie Hedwig (Hedi) si occupavano degli allievi non solo scientificamente ma anche umanamente. La loro casa era sempre aperta ed era possibile incontrare quei giovani in università o sulle discese innevate dei monti Harz, sempre intenti a discutere lo strano comportamento degli atomi esposti alla radiazione elettromagnetica che Franck stava svelando con i suoi esperimenti. 

Non soltanto Born era un eccezionale scopritore di talenti, ma anche lasciava che le stelle di prima grandezza brillassero davanti a lui. E così, esattamente novant’anni fa, il 12 luglio del 1925, il ventitreenne Werner Heisenberg diede a Born un manoscritto in cui delineava una nuova teoria quantistica: la nozione di traiettoria degli elettroni orbitanti intorno al nucleo atomico non era più necessaria. Born immediatamente riconobbe la struttura matriciale, e pertanto non commutativa (il prodotto di due matrici dipende dall’ordine: AxB è diverso da BxA e sta proprio qui la differenza tra la fisica classica e quella quantistica), sottostante alle idee di Heisenberg — “a quell’epoca Heisenberg non sapeva neppure cosa fosse una matrice — era mio assistente, ecco come faccio a saperlo (Born a Einstein, 1925 e 1948)Altri due articoli, entrambi intitolati Sulla meccanica quantistica furono pubblicati in quello stesso 1925, con le firme di Born e Jordan e, per il secondo articolo, anche quella di Heisenberg. La rivoluzione quantistica del mondo era cominciata. 

La reazione iniziale di Einstein alla novità — “I concetti di Heisenberg-Born ci lasciano tutti senza fiato (Einstein a Hedi Born, 7 marzo 1926) — doveva ben presto trasformarsi nel verdetto universalmente noto: “La meccanica quantistica è certamente impressionante. Ma una voce interiore mi dice che non è ancora la cosa giusta. La teoria dice un sacco di cose ma non ci avvicina veramente al segreto del “grande vecchio”. Io, in ogni caso, sono convinto che Lui non giochi a dadi (Einstein a Born, 4 dicembre 1926)E, più tardi, nel bellissimo scambio di lettere del 1944: “Le nostre aspettative scientifiche sono ormai agli antipodi. Tu credi in un Dio che gioca a dadi, ed io in un mondo che esiste oggettivamente con legge e ordine completi che io, in modo largamente speculativo, sto tentando di catturare. Ci credo fermamente, ma spero che qualcuno trovi un modo più realistico, o piuttosto una base più tangibile di quella che il destino mi ha concesso di trovare. Anche il grande successo della teoria quantistica non basta a farmi credere che il gioco dei dadi sia l’ultima parola, anche se sono ben consapevole che i nostri colleghi più giovani interpretano questo come una conseguenza della senilità. Senza dubbio verrà il giorno in cui vedremo quale atteggiamento istintivo fosse quello giusto

Pur ammettendo che la meccanica quantistica, con l’interpretazione statistica che valse a Born il tardivo premio Nobel nel 1954, fosse capace di descrivere correttamente i fenomeni della fisica atomica, la convinzione filosofica di Einstein era che il mondo fosse separabile completamente in una sfera soggettiva e in una realtà oggettiva indipendente dalle condizioni sperimentali e conoscibile con esattezza. “Trovo intollerabile l’idea che un elettrone esposto alla radiazione possa scegliere con il suo libero arbitrio non solo il momento in cui saltar via ma anche la direzione. Se fosse così, preferirei fare il ciabattino o il croupier piuttosto che il fisico” (Einstein ai coniugi Born, 29 aprile 1924). 

La meccanica quantistica sembra però irrimediabilmente incompatibile con le convinzioni di Einstein. 

Venne poi il 1933 e la tragedia tedesca predetta da Einstein con grande anticipo. Nel maggio, l’ebreo Max Born fu sospeso dall’università insieme ad altri sei professori. Franck si era già dimesso. Tutto quello che avevano costruito, innalzando Gottinga all’apice della fisica mondiale, fu dissolto in un attimo. L’ebreo Einstein si trovava all’estero e ci restò. Terribili i giudizi che Einstein porta sul popolo tedesco. Mai più avrebbe rimesso i piedi in Germania — “Terra degli sterminatori (Einstein a Born, 8 novembre 1953)Born sarebbe tornato invece a viverci — “Gli americani hanno dimostrato a Dresda, Hiroshima e Nagasaki che sono capaci di superare persino i nazisti nella pura velocità dello sterminio (Born a Einstein, 8 Novembre1953). E a quello sterminio del 6 agosto 1945, quell’esplosione di settant’anni fa sul cielo di Hiroshima che divide la storia in due facendoci entrare nell’era atomica nella quale il genere umano può autodistruggersi trasformando la terra intera in una grande Hiroshima, il nome di Einstein è, a torto o a ragione e suo malgrado, indissolubilmente legato.  

E’ ovviamente impossibile riassumere o anche soltanto delineare, nelle poche righe che restano di questo articolo, la storia di quegli avvenimenti e soprattutto la luce che getta su di essi il carteggio Born-Einstein.

La storia non insegna mai nulla e i fantasmi di ieri si ripresentano oggi sotto forme mutate, tanto che sembriamo sprovvisti di anticorpi per fronteggiare quelle malattie apparentemente già vissute prima di noi. E allora a che vale leggere vecchie lettere scritte in un tempo ormai lontano? Dice Bertrand Russell nella sua prefazione all’edizione inglese del 1968: “Qualcosa della nobiltà delle loro vite traspare. Ho sempre profondamente stimato la loro amicizia per molti anni. Entrambi gli uomini erano brillanti, umili, e completamente privi di paura nelle loro prese di posizione pubbliche. In un’epoca di mediocrità e di pigmei morali le loro vite risplendono di intensa bellezza“. Sarebbe vano tentare di dirlo meglio.