La metamorfosi di Kafka, scritto nel 1912, ha una sorprendente attualità. Gregor Samsa, commesso viaggiatore per amore della sua famiglia che si era indebitata, svegliandosi una mattina, si ritrova trasformato in un insetto, con una corazza e mille zampine. Aveva registrato qualche sintomo di malessere prima di allora, ma nulla lasciava supporre un cambiamento così fuori dell’ordinario. Cerca di scendere dal letto e il corpo che si ritrova glielo consente solo dopo vari tentativi. La vita incalza: arriva il procuratore che, a nome del suo principale, lo accusa di scarso rendimento sul lavoro. Con le sue deboli forze, Gregor apre la porta della stanza e si palesa nella sua nuova veste di insetto. L’uomo fugge, la madre quasi sviene, il padre lo respinge senza pietà nella sua camera. Solo la sorella Rita si prende cura di lui: lo nutre ogni giorno quando i genitori riposano e gli lascia la sedia vicino alla finestra, in modo che egli possa guardare fuori. E’ buona, vuole bene a Gregor, ma la vista dell’insetto le è insopportabile. Dalla sua stanza vengono tolti i mobili, ormai inutili. Anche la madre partecipa al trasloco, ma si sente male alla vista del figlio; interviene il padre, che cerca di colpirlo gettandogli le mele della credenza, nonostante la moglie lo supplichi di risparmiargli la vita. Gregor viene riammesso, attraverso la porta aperta, a udire le scarne conversazioni famigliari. Il tenore di vita si riduce sempre più: la cameriera viene licenziata, si vendono i gioielli di famiglia; una stanza della casa diventata troppo grande è affittata a tre seri signori. I padroni di casa cenano in cucina. Risuona la musica del violino di Rita. Gregorio le si avvicina.
“Era davvero una bestia, se la musica lo commuoveva tanto? Gli sembrava che gli si schiudesse una via, verso un nutrimento sconosciuto e sempre desiderato”. Inorriditi dalla presenza dell’insetto, i pensionanti se ne vanno. La sorella decide di liberarsi di Gregor, che si rintana nella sua stanza e il mattino dopo viene trovato morto. La cameriera lo getta via con la spazzatura. La famiglia riprende la sua scialba esistenza.
Questa, nei tratti salienti, la trama; la prosa ha il vigore di una scultura e la tenerezza di un canto. Quanto al significato un’ipotesi, proposta da Italo Alighiero Chiusano, vedrebbe in Gregor la figura di Cristo, “fatto verme, non uomo”, che per amore “spogliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte”. Nella storia di Gregorio è possibile seguire una traiettoria di abbassamento, di dedizione, di mitezza nel sacrificarsi fino alla consumazione della morte.
Un’altra possibilità di lettura è quella che paragonerebbe la metamorfosi di Gregor Samsa a quella occorsa nel “secolo breve” dall’uomo occidentale. Il genio infelice di Kafka è stato profeta di un imbestiamento collettivo, epidemia alla quale non sembra sottrarsi nessuno e per la quale non esiste terapia? Gregor passa da un onesto e scomodo lavoro per aiutare la famiglia all’inattività di un corpo animale. Ha mantenuto la coscienza, il desiderio di relazione con il padre che lo rifiuta violentemente e con la sorella, alla cui musica si commuove; non gli è tolta la curiosità di vedere e di ascoltare il rumore della pioggia, l’opacità della nebbia e i discorsi dei suoi genitori.
Un evento straordinario capitato a un uomo qualsiasi segnalerebbe la condizione di una vasta collettività, tutta impegnata nel costruire il benessere economico. Poi il tonfo dentro a un corpo animale e spregevole: milioni di uomini offuscati nella loro dignità nelle trincee, nelle bombe, nelle deportazioni, a morire di fame, di sete o di gelo. I potenti mostrano una natura animalesca: non una ragionevole sobrietà, ma la soddisfazione degli istinti. L’usura, la lussuria e il potere, per dirla con Eliot e con Dante. La paura sembra ghermire e chiudere nel gelo l’ostinata forza della vita.
E c’è una sorella. La religiosità? L’arte? La solidarietà? Esse sembrano impotenti davanti al progredire del male. Non hanno tenuta. La bellezza non salva il mondo, checché ne dica Dostoevskij e troppi ripetano. Forse il sacrificio di un tempo afono potrà contribuire – chissà – alla rinascita di una civiltà millenaria, di cui si vede oggi quasi solo la lenta agonia.