Da oggi è in libreria, edito da Rizzoli, “La bellezza disarmata”, di Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e liberazione. Ne anticipiamo alcuni brani.

Che cosa è in gioco — L’Europa è nata intorno a poche grandi parole, come persona, lavoro, materia, progresso e libertà. Termini che hanno raggiunto la loro piena e autentica profondità attraverso il cristianesimo, acquistando un valore che prima non avevano, e questo ha determinato un profondo processo di “umanizzazione” dell’Europa e della sua cultura. Basti pensare, per fare un esempio, al concetto di persona: «Duemila anni fa l’unico uomo che aveva tutti i diritti umani era il civis romanus. Ma il civis romanus da chi era stabilito? Il potere determinava il civis romanus. Uno dei più grandi giuristi romani, Gaio, distingueva tre tipi di utensili che il civis [romanus], cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva possedere: gli utensili che non si muovono e non parlano; gli utensili che si muovono e non parlano, cioè gli animali; e gli utensili che si muovono e parlano, gli schiavi».



Oggi però tutte queste parole sono diventate vuote oppure stanno perdendo sempre di più il loro spessore originale. Come mai?

Attraverso un lungo e complesso processo — che include la mortificazione di parole come progresso e libertà ad opera della stessa cristianità che aveva contribuito a generarle —, a un certo punto della parabola europea prende piede il tentativo di rendere autonome quelle fondamentali acquisizioni dall’esperienza che ne aveva consentito la piena emergenza.



Come scriveva anni fa l’allora cardinale Ratzinger in un memorabile intervento a Subiaco, a seguito di un travagliato percorso storico, nell’epoca dell’Illuminismo, «nella contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertezze delle varie filosofie e confessioni». Questo progetto apparve allora realizzabile perché «le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili». Si sviluppò così il tentativo illuministico di affermare quelle convinzioni, la cui evidenza sembrava si potesse sostenere da sé, a prescindere da un cristianesimo vissuto. Qual è stato l’esito di questa “pretesa”? Tali convinzioni — su cui si è fondata la nostra convivenza per molti secoli — hanno resistito alla verifica del tempo? La loro evidenza ha retto all’urto delle vicissitudini storiche, con i loro imprevisti e le loro provocazioni? La risposta è davanti agli occhi di tutti. «La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita […]».



[…] È questa la natura della crisi, che non è prima di tutto economica. Riguarda i fondamenti. […] Senza una chiara consapevolezza che quello che è in gioco è l’evidenza di quei fondamenti, in mancanza dei quali non sarà possibile una convivenza stabile, noi ci distraiamo nel dibattito sulle conseguenze, dimenticando che queste hanno origine altrove, come abbiamo visto. 

[…]
Impressiona in questi tempi la radicalità della sfida a cui siamo sottoposti, la velocità con cui il cambiamento della mentalità si sta verificando nei Paesi europei e in Occidente in genere.
Ciò che dirò non ha alcuna pretesa di completezza o esaustività. Vorrei semplicemente offrire alcuni spunti di riflessione per una presa di coscienza del tempo in cui siamo, seguendo la percezione, questa sì veramente consapevole, che ne hanno Benedetto XVI e papa Francesco. 

Le evidenze e la storia — a) Il primo punto con cui occorre fare i conti è il «crollo delle evidenze», per sintetizzare in una espressione la situazione che ho descritto nell’intervento sull’Europa. Ratzinger parlava del «crollo di antiche sicurezze religiose» e del conseguente «collasso del senso di umanità». Di che cosa si tratta? Come può crollare un’evidenza? Sembra quasi una contraddizione. E di quali evidenze parliamo? 

Il punto di partenza del fenomeno, di cui vorremmo aiutarci a prendere coscienza, va ricercato nel tentativo illuministico di sottrarre i valori fondamentali che hanno sostenuto e innervato l’Europa fino a pochi decenni fa alla sfera religiosa e in particolare cristiana, nella quale essi erano storicamente emersi. Nell’epoca della «contrapposizione delle confessioni», osserva Ratzinger, si è cercata per quei valori e quelle norme «una evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni delle varie filosofie e confessioni». Fu un tentativo comprensibile. Dopo la divisione portata dalla Riforma e gli scontri conseguenti, con le cosiddette guerre di religione tra i cristiani, si volevano «assicurare le basi della convivenza e, più in generale, le basi dell’umanità», al di qua di ogni riferimento al cristianesimo, su un terreno per così dire neutro e apparentemente più sicuro, al riparo dalle contese. «A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili.» Si pensò: esse resterebbero valide anche se Dio non esistesse. 

Qual è stato l’esito di tale tentativo? Ratzinger lo sottolinea senza mezzi termini: «La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita». Quelle convinzioni non hanno superato la prova della loro “autonomia”, anche se nessuno si sarebbe immaginato la rapidità della loro eclissi.

[…]
Prendere coscienza della natura dell’io — Riprendendo l’esperienza del Vangelo, don Giussani sottolinea che la persona, la persona ridotta dal potere, «ritrova se stessa [solo] in un incontro vivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e che sprigiona un’attrattiva». Se questo non succede, tutti i nostri tentativi di rispondere alle nuove sfide — a quella riduzione per cui l’uomo si può accontentare delle immagini di sé che si costruisce, secondo modalità che oggi sono diverse da quelle della rivoluzione precedente — non avranno alcun esito. Se l’uomo non ritrova se stesso, non potrà che uscire ancora più ridotto dai suoi sforzi di risolvere il problema. Vediamo già quanto i tentativi di tanti nostri contemporanei siano incapaci di cogliere la natura dell’io e quindi di rispondere alle sue esigenze ultime. 

Che cosa fa Gesù per ridestare l’uomo, per risollevarlo dalla situazione di smarrimento e di alienazione in cui versa? Incontra le persone, mette davanti a loro una presenza umana — la Sua — non ridotta. Perché è soltanto imbattendosi in Lui, nella Sua presenza, nella coscienza chiara che Lui ha di Sé, nella Sua capacità di rendersi conto della densità e dell’attesa del cuore, che può risvegliarsi la loro umanità, la percezione della portata della loro esigenza, ed esse possono di conseguenza non perdere tempo cercando soluzioni che non sono in grado di rispondere adeguatamente. Per questo la soluzione dei problemi emergenti nella vita quotidiana «non avviene direttamente affrontando i problemi, ma approfondendo la natura del soggetto che li affronta», cioè prendendo coscienza della natura dell’io, della natura del proprio desiderio. Solo se l’io si rende conto di sé fino in fondo potrà liberarsi da tutte le presunte soluzioni e le immagini che ha in testa, in cui anche noi possiamo cadere. […]

Perciò, davanti al crollo delle evidenze, tutto il problema è se si genera un soggetto in grado di avere una consapevolezza tale della propria natura, della propria esigenza umana, da non lasciarsi travolgere da immagini ridotte e soluzioni parziali, che non danno alcuna soddisfazione. L’esperienza cristiana realmente vissuta rende l’io libero da tutti i tentativi parziali, lo fa traboccare di gioia e di pienezza, ponendo davanti a tutti una umanità veramente desiderabile. Infatti, ciò che colpisce non sono le opinioni diverse sulle cose, ma una umanità vera, piena, in cui ci si imbatte. A questa umanità diversa l’uomo, qualsiasi sia la latitudine in cui vive, non si può sottrarre, come raccontava un ragazzo che ha vissuto alcuni mesi in Texas. Le persone che avevano a che fare con lui gli dicevano: «Non abbiamo mai visto un’umanità così». Si ripete oggi la stessa reazione che i primi avevano davanti a Gesù. Non sono le opinioni religiose che muovono le persone, ma una umanità vera, piena. Occorrerà poi dare tutte le ragioni di tale diversità, ma il primo contraccolpo è l’incontro con una umanità vera, non ridotta. 

[…] Non c’è un’altra strada, ci dice sempre papa Francesco, che la testimonianza di una vita traboccante della Sua presenza, così che chiunque ci incontra possa fare parte di questa pienezza che a noi è stata data per grazia, che dobbiamo avere di continuo la semplicità di accogliere, di ricevere, e senza la quale noi smarriamo il rapporto con la realtà. 

[…] Come ha detto papa Francesco, senza un punto di appoggio in qualcosa di essenziale — e l’essenziale è Cristo —, noi non potremo evitare di spaventarci davanti alle nuove sfide. L’essenziale, il ritorno all’essenziale, a cui don Giussani ha sempre richiamato e al quale adesso invita il Papa, è cruciale; altrimenti sarà difficile essere sufficientemente liberi per cercare nuove forme e modi per comunicare la verità. 


Julián Carrón, “La bellezza disarmata”, Rizzoli, Milano 2015.