Lettere a un figlio sull’educazione. Dunque, a scrivere è un padre. E un padre all’antica, si direbbe, che si rivolge alla moglie già nell’introduzione così: “tu che tutti ci educhi, me per primo. Il tuo sguardo e le tue mani vivono dentro ognuna di queste pagine”. E’ una dichiarazione d’amore, alla sposa, e di fiducia, nella famiglia. Eppure, Giovanni Donna d’Oldenico non ci guarda austero da un dagherrotipo d’epoca, su qualche comò gozzaniano di buona famiglia. E’ medico, scrittore, patriarca e padre di ben nove figli. Ha uno stile moderno, agile, anche seguendo la profondità e l’impegno della riflessione. Titola i paragrafi di questo nuovo suo libro con massime che paiono espunte da un trattato di Seneca, o sant’Agostino. Ma parla a un ragazzo, uno dei suoi e dei nostri, che lascia l’adolescenza ed entra nell’età delle scelte importanti, che svoltano l’esistenza, è in procinto di diventare a sua volta marito e padre.



Ben strano figlio, di questi tempi, disposto ad ascoltare un padre, di più, a seguirlo come maestro. E capace di far tesoro di consigli, indicazioni, perfino regole, perché educare è un abito che non si smette mai, come quello di imparare, per fame del significato del vivere. “Conta l’impegno, non il risultato”. E alla fine di questo primo paragrafo si comincia a capire di più di questa strana unione di esseri in una comunità preservata nel deserto dell’individualismo diffuso, la famiglia. “Ogni buon fine è dalla Sua mano”, si legge. Il possessivo ha la maiuscola. “…la gratuità dell’Eterno…”, “Padre Nostro che dài senso alla vita…”.



Insomma, l’autore è cattolico. Ben più che antico, fuori del tempo, anche se parla come un intellettuale illuminato, invitando “prima delle risposte” a “coltivare le domande”, a “pensare in grande”. Ci sono senz’altro cadute di stile, tipo “Abbasso il divo, viva il santo”, e non è pauperismo pedissequo; “Amare il riposo, cioè la fatica”, invito respingente in una società che pretende il tutto e subito e col minimo sforzo; “Accogliere responsabilmente i figli”, e qui siamo addirittura a una citazione liturgica; sulla stessa scia la provocazione della castità e obbedienza, della Regula per eccellenza, “Ora et labora”.



Sono pietre che lastricano la via alla libertà, alla sola felicità che regge, quando “il tempo non passa, ma viene incontro”, come voce, segno che chiama, per ogni giorno della vita, nella gioia e nella sofferenza. Con il presagio che si fa pian piano certezza, che “la realtà non è solo quello che si vede”, che le cose possono andare storte, ma “si può cadere senza restare schiacciati”, “abbattuti, ma non distrutti”, come scriveva quel santo. 

Certo, ci vuole “una compagnia per i passi dentro il mistero”. Una sposa, per un’unione che, “generata dalla Chiesa e da Cristo”, a sua volta “generi alla Chiesa e a Cristo”, per una tranquillità che non è incoscienza, ma vigilanza consapevole degli attacchi del male; se non si è soli, se si è attrezzati alla difesa con le armi dei sacramenti e della preghiera. Se si confida non in se stessi e neppure in chi ci è più caro, ma solo in Dio che ci ha dato tutto, anche chi ci è caro. 

Ma una strada così tracciata, senza costruire muri di contenimento, senza la segnaletica invasiva agli incroci, senza neppure conoscere lo svolgersi del nastro, porta a una meta sicura. Sembra impossibile, ma è un uomo reale che scrive così, che cresce nove figli così, solidamente appoggiato alle radici e spalancato al domani. Ce ne sono pochi di padri così, saldi e accoglienti, severi per un bene più grande e tenerissimi in parole e opere, essenziali, “leggeri”, perché una cosa sola è necessaria, una guida al destino. Ci toccano tempi di uomini fragili, impauriti, incapaci di scegliere e segnare una strada. E ci sono anche pochi scrittori capaci di scrivere un epistolario di stampo classico senza mai scivolare nel sentimentalismo, nel moralismo, nella nostalgia del buon tempo andato, nella reprimenda di quel che non si comprende. Ci sono poche letture edificanti, ed è un complimento voluto. Hanno a che fare con l’artigianato e la scienza, costruire la vita. Non c’è sfida più esaltante, e più decisiva. Non si può chiedere e dare altro ai propri figli.


Giovanni Donna D’Oldenico, “Lettere a un figlio sull’educazione”, La Fontana di Siloe, 2015