Un articolo di Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera del 18 settembre, prende spunto dal Giubileo voluto da papa Francesco per una riflessione più ampia sul tema della misericordia. Nel suo articolo, per tanti versi bello, Schiavi racconta, dettaglia di questa misericordia, accennando a storie di santi e preti comuni, che ai margini della società si fanno prossimi ai tanti poveri di questo mondo; dove i poveri non sono solo quelli che nulla hanno, ma anche gli ammalati, i bambini e tanta altra umanità che la società odierna, affetta da «turbocapitalismo», relega al cattivo oblio.



Meno convincente il punto, tanto importante da essere riportato nel richiamo in prima pagina, nel quale l’insistenza del Papa sulla misericordia rivelerebbe «le debolezze di una Chiesa troppo liturgica». Una contrapposizione bizzarra, almeno se si parla di misericordia cristiana come nel punto in questione. Se vero che esiste un liturgismo che può diventare teatro – come anche in teatro può decadere certo attivismo caritatevole cristiano -, contrapporre la liturgia alla misericordia appare quantomeno azzardato.



Perché la misericordia, quella cristiana, appartiene al Signore. Che ne fa dono gratuito agli uomini come e quando vuole lui. Ma la liturgia eucaristica, la preghiera di Gesù al Padre, è, e resta, il luogo in cui tale dono viene elargito nella maniera più stupenda. Lo sapeva bene il santo curato d’Ars, che nella misericordia ha avuto il suo tratto distintivo tanto da attrarre folle al suo confessionale (in un’attrattiva partecipata anche da tanti atei della laica Francia). Lui che tanto si spendeva per fare della santa messa una cosa bella sotto il profilo liturgico, curandone tutti i particolari.



Lui che ha affermato l’opposto di quanto sostenuto da Schiavi, ovvero che «tutte le opere buone insieme non valgono il sacrificio della messa».

Tale coincidenza tra amore alla liturgia e ostensione della misericordia è propria anche di Padre Pio, altro misericordioso confessore di peccatori e della fede. Tra l’altro il fatto che papa Francesco abbia voluto le sue spoglie in Vaticano in occasione del Giubileo della misericordia dovrebbe essere tenuto in debito conto.

Si potrebbero fare centinaia di altri esempi in proposito (come la venerazione di san Francesco per la liturgia) ma non vale la pena dilungarsi. Se non per accennare che forse è vero il contrario: la poca considerazione della liturgia – punto più alto di quell’adorazione tanto cara a Francesco – non può che portare a un di meno di misericordia nel mondo.

Nell’articolo, inoltre, si registra una sovrapposizione, quasi una indistinzione, tra la misericordia cristiana e quella laica, fondata questa su valori umanitari. È vero che ambedue abitano questo povero mondo e in questo povero mondo camminano insieme; ambedue concorrono a sanare ferite del corpo e dello spirito e intrecciano rapporti fecondi traendo alimento l’una dall’altra. Ed è vero che ambedue risultano gradite e benedette dal Signore. Eppure resta che appartengono a due ordini diversi, che vanno rispettati nella loro natura.

Ciò è ben chiaro a papa Francesco, che ha più volte messo in guardia la Chiesa dal trasformarsi in una ong. Non sarebbe interessante neanche per il mondo, che ha già le sue ong buone, operative ed efficaci.

«Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me»: è una frase di santa Teresina che descrive meglio di tante parole la misericordia cristiana. E la definisce in maniera stupenda. Altra, invece, è la misericordia fondata appunto su valori umanitari.

La frase di Teresina va presa alla lettera: o la misericordia cristiana, la carità per definirla in altro modo, vive dell’iniziativa del Signore e a essa resta sospesa, oppure anche le opere di misericordia spirituali e corporali realizzate dai fedeli risultano semplice dedizione umana. Perdono quella bellezza caratteristica del sovrannaturale che può renderle stupende anche agli occhi dei non cristiani.

Non si tratta, all’altro estremo, di contrapporre le opere buone laiche a quelle cristiane, ma di ricercare (e rallegrarsene) quella nascosta armonia che reca sollievo al mondo. Un’armonia non si dà nella omogeneità degli strumenti e degli accordi, ma vive di diversità.