LIPSIA — La Volkswagen è in mezzo alla tempesta con lo scandalo sui gas di scarico. In un video pubblicato da focus.de Martin Winterkorn — ormai ex (si è dimesso mercoledì) amministratore delegato della VW — ha chiesto scusa in modo solenne per questo grave errore, che contraddirebbe tutto ciò per cui garantisce questa azienda tedesca e che ferisce i 600mila lavoratori del gruppo, che invece lavorano con un grande impegno tecnico e morale.
Ci troviamo di fronte ad uno scandalo che riguarda uno dei temi su cui nel mondo, a livello teorico, c’è un grande consenso: etica della responsabilità è in primo luogo etica ecologica. Ma la teoria si scontra con la realtà. Il problema tocca diversi aspetti che dovrebbero essere analizzati con una più grande conoscenza della mia; mi limito a presentarne uno: vengono fatte delle prove sulle auto per misurarne i gas di scarico, in modo che rimangano entro un livello predefinito, ma poi nella realtà, quando esse vengono vendute, non vengono usate queste precauzioni ecologiche perché rallenterebbero l’automobile e questo non corrisponde al bisogno di velocità di chi le compra.
Il tema mi interessa in primo luogo dal punto di vista della ricezione, non solo teorica, ma anche pratica, dell’enciclica di papa Francesco sul tema ecologico Laudato si’. A livello giornalistico l’enciclica è stata recensita in Germania con una certa simpatia, ma anche con toni critici o ironici; nel proseguire dei mesi non ha però interessato più di tanto il pubblico tedesco. Forse anche perché la chiesa evangelico-luterana, prima di quella cattolica, si è occupata a lungo del tema e uno degli intellettuali di punta del mondo tedesco, Carl Friedrich von Weizsäcker (1912-2007), fisico e filosofo, già negli anni ottanta aveva scritto un libro dal titolo Die Zeit drängt (“Il tempo stringe”) in cui parlava dell’urgenza di temi come la pace, la giustizia e la difesa della natura.
Jan Grossarth in un articolo nella pagina di economia della Frankfurter Allgemeine Zeitung (“Die grünen Wirtschaftsideen des Papstes”, “Le idee economiche verdi del papa, 18 giugno) diceva che nell’enciclica, che presenta un “kosmisches Gesamtdenken” (pensiero complessivo cosmico, ndr), siamo confrontati con un abisso tra la realtà e gli ideali. Papa Francesco avrebbe in fondo un completo scetticismo nei confronti dell’industria, dell’economia di mercato e proporrebbe uno stile di vita del tutto non moderno di rinuncia al lusso e al consumo. La spiegazione della crisi finanziaria del 2007 e 2008 rimarrebbe ad un livello vago e non molto convincente. La sua critica della massimizzazione dei profitti sarebbe irrealistica e contraddirebbe il punto di vista più logico di Adam Smith, che la massimizzazione dei profitti del singolo arricchisce e non impoverisce la comunità. Per usare un’immagine famosa: il panettiere che guadagna vedendo il pane, sazia chi lo compra. Infine la critica riguardante la mancanza di creatività nel lavoro sarebbe scontata e non molto interessante.
Die Zeit invece, pubblicando un articolo (18 giugno) del gesuita e professore di etica a Washington Drew Christiansen, ha voluto far vedere come l’enciclica ecologica di Francesco si inserisca in tutta la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, che a partire da Giovanni XXIII ha arricchito il dibattito pubblico americano e reso possibile un dialogo trasversale nella società statunitense, insomma un dialogo tra persone non solo cattoliche (il papa stesso, per fare un inciso attualissimo, nel suo viaggio aereo da Cuba a Washington, ha raccontato ai giornalisti un esempio di questo dialogo trasversale quando ha ricordato di aver parlato a lungo della Laudato si’ con Fidel Castro). Sia la “dottrina della guerra giusta” negli anni 90, sia ora questa enciclica ecologica, per fare due esempi importanti, vengono considerati come contributi che hanno permesso o permetteranno di tematizzare e risolvere problemi concreti della società americana. Il gesuita sottolinea anche il valore ecumenico di questa intervista, cioè il suo valore di dialogo trasversale anche all’interno delle Chiese, per la sintonia di Bergoglio con il patriarca ortodosso Bartolomeo I, anch’egli “verde”.
Nello stesso giorno di giugno si poteva leggere in Die Zeit l’intervista con il teologo cattolico Gerard Mannion (Georgetown University, Washington) in cui si afferma che il punto critico di fondo dell’enciclica consiste nella critica alla “rassegnazione comoda” in cui ci si può nascondere non prendendo sul serio la proposta ecologica del papa.
Forse l’articolo più interessante nel contesto tedesco è stato quello di Patrick Bahners nella pagina culturale della Faz (19 giugno) in cui faceva vedere come l’enciclica del papa scombussola l’alleanza tra chiese libere protestanti e cattolici tradizionalisti americani che non ritengono che il tema ecologico sia una delle urgenze che debbano interessare la Chiesa. Uno dei candidati repubblicani alla presidenza, Jeb Bush, convertito al cattolicesimo, ha preso a priori le distanze dall’enciclica perché non va in chiesa a prendere lezioni di economia ed ecologia. Vista poi la reazione alla sua frase, ha fatto un passo indietro. Uno degli intellettuali degli ambiti tradizionalisti, il filosofo di diritto dell’Università di Princeton Robert George, ha corretto la prospettiva dicendo che il papa ovviamente può parlare di tutto, ma da ciò che dice in questi ambiti non deve risultare un dovere d’azione. Il vaticanista tedesco, che ironizza su questa spaccatura tra “essere” e “dovere”, fa infine vedere bene come il papa nell’enciclica coniughi il problema ecologico con il problema dell’attenzione ai poveri nel mondo.
Di recente il padre domenicano Anselm Ramelow, professore di teologia a Berkley, in un incontro personale mi ha esposto il nucleo dell’enciclica nel modo più preciso. Nella tradizione di Benedetto XVI, cosa a cui accenna anche Patrick Bahners, papa Francesco congiunge il tema dell’ecologia con quello dell’ecologia dell’uomo e fa vedere come un disequilibrio in un ambito è allo stesso tempo un disequilibrio nell’altro, o detto altrimenti: entrambi gli ambiti stanno e cadano insieme. Perdere il contatto con la natura implica di perdere il contatto vitale con l’uomo e viceversa.
Alla notizia dello scandalo Volkswagen mio figlio mi ha chiesto come mai mi stupissi, dal momento che “fanno tutti così”. L’ideale ecologico contraddice quello industriale, e ciò — stando alle sue parole — non come critica bensì come fatto. Gli ho risposto che ciò che l’ex ad della VW Martin Winterkorn dice essere il problema di pochi nell’azienda tedesca automobilistica, che con le sue esportazioni nel mondo contribuisce in modo forte alla stabilità economica tedesca, ha un nome: corruzione, e questa è una vera piaga sociale, che coinvolge sia l’ecologia sia ciò che l’uomo pensa di e fa con se stesso.
Su questo punto dell’ecologia integrale il papa ci chiede una conversione affinché la realtà sia di nuovo vista come dono e non come prodotto di cui servirsi. Questa è certamente una prima mossa concreta per non dire in modo farisaico: “Laudato si’, mi Signore”.