Lila viene rapita da una casa comune da Doll, una vagabonda che vive di espedienti: è piccola, denutrita e piena di pidocchi, sola e insignificante per i suoi genitori (ma avrà dei genitori? un elemento che rimane avvolto nel mistero fino alla fine). Così Marilynne Robinson ci immerge nell’atmosfera del romanzo Lila la cui narrazione procede avanti e indietro nella memoria della protagonista che cresce e matura nel corso delle 261 pagine. Lila e Doll si aggregano a un gruppo di girovaghi e avranno il cielo per tetto e i prati per letto. Lila cresce con la polvere nei capelli, senza scuola e l’educazione della strada, nel Midwest rurale americano, barattando qualche lavoretto con un chilo di mele o un po’ di cereali. I suoi compagni di strada hanno un’anima più avvizzita della sua e, nonostante la condivisione della miseria, non mostrano alcun senso di appartenenza l’uno con l’altro. Ognuno per sé.



Grazie a un’esistenza essenziale Lila sarà una donna dalle poche pretese, senza la speranza di un riscatto e, soprattutto, di felicità, un sentimento a lei sconosciuto. L’unica cosa di cui Doll si assicurerà è trasferirle dei sani pregiudizi verso gli “altri”, le persone normali che vivono con un tetto sulla testa e uno stipendio a fine mese, riparati dal vento e dalla neve nelle loro case. E che credono nella parola del Signore. “Non fidarti mai dei preti” le dirà Doll una sera, parlandone come se fossero batteri causa di una malattia senza cura. Però è proprio sulle scale di una chiesa che il “gruppo” lascierà Lila quando diventa una bocca di troppo da sfamare, dal momento che Doll ha abbandonato la brigata. “Rimani vicino alla chiesa e qualcuno si occuperà di te” le dice Doane, il capobranco senza scrupoli e privo di risorse.



E in una chiesa si rifugerà la Lila ormai adulta, per sfuggire alla pioggia e al freddo, ma anche alla vita da prostituta di un bordello di Saint Louis. A Gilead, città immaginaria collocata dall’autrice in Iowa, quattro case, un negozio e una chiesa, Lila ritroverà il senso di sé, un po’ alla volta, grazie al reverendo John Ames, vedovo non più giovane, che la accoglierà non solo nel suo gregge ma anche nella sua casa, sposandola, dopo settimane di corte reciproca e letture della Bibbia. L’ignorante Lila, che per migliorarsi trascrive le parabole dal libro di Ezechiele, porrà al reverendo dei quesiti forse semplici sul perché delle cose, illuminando però degli aspetti che né la teologia né la filosofia hanno portato alla sua attenzione prima. Lo sguardo “puro” ed essenziale di Lila finirà per indicargli una diversa chiave interpretativa della vita portandolo a una rinnovata felicità.



In questo posto non-posto Lila abbandonerà la paura di essere felice, abbracciandola attraverso la maternità e riscattandosi come persona. Un figlio da amare e proteggere costituirà il completamento con il suo passato di figlia abbandonata, e un’occasione per dare nuova linfa a un uomo che ormai pensava di essere a fine ciclo.

Lila è l’ultimo romanzo di Marilynne Robinson, autrice forse poco conosciuta in Italia ma insignita di una lunga lista di premi negli Stati Uniti, paese dove è nata e vive, tra i quali il Pen/Hemingway Award per Housekeeping(1980) come romanzo di esordio, e il Pulitzer Prize for Fiction nel 2005 per Gilead (2004). La particolarità dei suoi romanzi è che costituiscono come una lunga storia che ha per filo conduttore alcuni personaggi designati e le loro vicende. Non proprio una saga ma lo sviluppo di una teoria attraverso la vita in presa diretta di alcune famiglie nell’America rurale, semplice e povera, talvolta dura e violenta nella sua sostanza.

Attraverso la presenza della famiglia Boughton, Lila (2014) rappresenta il terzo atto della trilogia Gilead, con Home (2008) che narra proprio la storia della famiglia e che a sua volta è lo sviluppo di un elemento di Gilead(2004), un romanzo epistolare autobiografico del reverendo John Ames, nonno del protagonista maschile di Lila. Questi intrecci magici sono funzionali per creare una realtà virtuale nello Iowa (a cui è dedicato proprio Lila) quale terra di coltura della Chiesa Unita di Cristo, di cui la scrittrice è rappresentante e occasionale predicatrice. Attraverso le vicende delle famiglie Boughton e Ames l’autrice esprime alcune delle idee calviniste che sono alla base della sua personale teologia, come l’ha definita lei stessa, sulla libertà di un cristiano e che spiegherebbero perché un animo così rustico quale quello di Lila possa docilmente adeguarsi a una vita dentro una casa e non fuori nel giardino, da moglie di un pastore, in un posto ai confini della realtà, essendo accettata subito dalle altre donne del paese nonostante forestiera e con un passato.

Docente di scrittura creativa allo Iowa Writers’ Workshop (Iowa City), saggista, Ph.D. in inglese e docente in diverse università americane, la Robinson è una delle scrittrici preferite dal presidente Obama. L’ha definita “mia amica” e ne ha mutuato la definizione di “grande cuore” inteso come riserva di bontà che gli esseri umani possono offrire l’un l’altro negli eventi ordinari della vita, in occasione della commemorazione del senatore democratico Clementa Pinckney, ucciso il 17 giugno 2015 con altre otto persone durante una sessione di lettura della Bibbia nella chiesa metodista di Emanuel African (Charleston) di cui era pastore, da un bianco che aveva intenzione di scatenare così una guerra razziale.

Obama e Marilynne Robinson, entrambi protestanti, oltre a condividere una visione centrale della cristianità in momenti difficili come questo, sono portatori di un tipo di cultura da “piccola città” che caratterizza buona parte degli americani e ne influenza la vita democratica. Entrambi riconoscono lo scollamento tra l’esistenza semplice, meticolosa e onesta della gente comune, e gli effetti dei grandi eventi che non possono essere controllati, tra i quali anche quelli politici. Il grande cuore di cui parla Obama si manifesta nella narrativa della Robinson proprio nell’accostamento di situazioni estremamente negative (nel caso di Lila l’abbandono da parte dei genitori, la vita dura e anaffettiva da vagabonda, la prostituzione, la solitudine) e la capacità di altri individui a riparare il male, talvolta armati di una Bibbia.