L’Uomo di Similaun continua ad essere una fonte di preziose informazioni per gli scienziati, gli archeologi e gli antropologi di tutto il mondo. Dal giorno del suo ritrovamento, avvenuto 15 anni fa sulle Alpi di Oetzaler tra i ghiacci del passo alpino di Similaun, al confine tra Italia e Austria, la mummia di Otzi, una delle più antiche mai ritrovate, e il suo studio hanno riservato scoperte sempre nuove sul suo passato. Questo antico cacciatore è vissuto nel Neolitico, un epoca di passaggio tra la vita nomade fatta di caccia e la nascita dell’agricoltura con i primi insediamenti umani stabili; era ricoperto di tatuaggi e soffriva di calcoli biliari, gengivite e problemi alle giunture, tutti malanni che affliggono ancora oggi i suoi pronipoti moderni. La sua età stimata era di 46 anni e la causa della morte sembra essere un trauma cranico, anche se è presente una profonda ferita causata da una freccia scoccata a distanza. Otzi era affetto anche da parassiti intestinali ed è stata scoperta di recente la presenza di Helicobacter pylori nel suo stomaco, il batterio che provoca gastrite e ulcera, oltre alla malattia di Lyme (o borreliosi, di origine batterica, trasmessa dalle zecche) e nei suoi tessuti è stata rilevata un’alta concentrazione di arsenico, probabilmente causata dalle pratiche di estrazione dei metalli per la lavorazione del rame. Lo studio delle malattie e del DNA di questo lontano antenato ha risvolti importanti che consentono ai ricercatori di tracciare un quadro più completo delle nostre origini. Il ceppo del batterio dell’ulcera ritrovato nella mummia, per esempio, è di origine indiana ed è più antico di quello di origine nord africana che ha contagiato gli abitanti dell’Europa nel passato: la sua presenza svela gli spostamenti nel corso dei millenni delle popolazioni e riscrive la geografia dei continenti. In particolare, le indagini svolte sul DNA di Otzi, comparato con i campioni provenienti da 14 diversi siti archeologici europei, hanno confermato l’appartenenza della mummia del Similaun ad una linea paterna comune nella popolazione neolitica europea migrata in quest’area circa 8000 anni fa, e ricostruita tramite l’analisi del cromosoma Y che, trasmesso da padre in figlio, ha permesso di scoprire i discendenti di linea maschile dell’Uomo dei ghiacci. Una ricerca condotta dalla Medical University di Innsbruck su un campione di 3.700 donatori anonimi di sangue ha evidenziato infatti come i geni della mummia del Similaun siano ancora presenti nella popolazione europea moderna, tramite i suoi discendenti: ben 19 donatori nell’area del Tirolo austriaco condividono con Otzi un antenato comune, vissuto in un epoca compresa tra i 10 mila e i 20 mila anni fa e individuati grazie ad una rara mutazione genetica, conosciuta come G-L91, ereditata per linea paterna. Come ha dichiarato l’antropologo Franco Rollo per sottolineare l’importanza di questi studi: “In un certo senso studiando l’uomo di Similaun potremo capire meglio la nostra storia e quella delle popolazioni che vivono in questa parte d’Europa”. Le indagini più recenti che hanno proseguito la precedente ricerca sul DNA, iniziata nel 2012, hanno definito con maggiore precisione la diffusione della popolazione in Europa durante il Neolitico. Lo studio del DNA mitocondriale (mtDNA) della mummia, trasmesso per via materna, ha permesso di ricostruire l’intera storia genetica di questo cacciatore, vissuto circa 5300 anni fa, e confermato come oggi siano sopravvissuti solo i discendenti di linea paterna. I risultati ottenuti dal gruppo di ricercatori dell’Eurac, l’Accademia Europea di Bolzano coordinati dalla biologa Valentina Coia, sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports e hanno tracciato la storia genetica completa dell’Uomo dei ghiacci. Il mtDNA di Otzi appartiene ad un tipo che risulta oggi diffuso tra le popolazioni ladine, ma non assomiglia a nessuno dei sottotipi europei attuali. Il gruppo genetico materno era presente in passato nell’area alpina come ceppo di origine locale e i ricercatori ipotizzano che la scomparsa della discendenza di linea materna sia stata causata dalle ondate migratorie, che si sono susseguite dall’Età del rame, provocando in questo modo l’estinzione del gruppo genetico materno. Il corpo perfettamente conservato di Otzi è custodito presso il Museo Archeologico dell’Alto Adige a Bolzano, costantemente monitorato e visibile al pubblico da una finestra affacciata sulla cella frigorifera che lo mantiene in condizioni ottimali di conservazione. Il lavoro di ricerca continua e chissà quali altre scoperte ci riserverà nel prossimo futuro l’Uomo venuto dai ghiacci. 



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