Tra le diverse ricorrenze che cadono in questo 2016, si può ricordare senz’altro l’ottantesimo anniversario dello scoppio della guerra civile spagnola, iniziata il 17 luglio del 1936 in seguito alla sollevazione dei generali Emilio Mola, José Sanjurjo, Francisco Franco e Gonzalo Queipo de Llano, e conclusasi solo il primo aprile di tre anni dopo con l’entrata a Madrid delle truppe di Franco (divenuto leader dell’insurrezione nel corso del conflitto). Tale evento segnò la vittoria del bando nazionalista (nacionales) sulla sua controparte repubblicana, avvenuta in seguito ad una sanguinosa guerra civile destinata a lasciare ancora oggi, a ottant’anni dal suo inizio, un paese spaccato su ciò che concerne le valutazioni su questo tragico episodio della storia contemporanea della Spagna.



L’escalation del ’36 non fu un fatto difficilmente preventivabile, dati i fin troppo eloquenti prodromi della crisi che negli anni che vanno dall’instaurazione della Seconda repubblica spagnola alla sollevazione di luglio si verificarono nel tormentato paese iberico: dall’ondata di violenza anticlericale che seguì i giorni direttamente successivi alla proclamazione della repubblica (nel corso della quale furono arse numerose chiese e vennero provocati alcuni morti e feriti), passando per il fallito tentativo insurrezionale di destra del generale Sanjurjo fino ad arrivare alla repressa rivoluzione delle Asturie, nella quale anarchici, comunisti e socialisti mantennero il controllo della regione per due settimane. Tutto questo nel sottofondo della propaganda che i teorici dello sterminio di una parte e dell’altra si prodigavano di diffondere, dai proclami dell’estrema destra che definivano i loro avversari indegni di venire definiti esseri umani a quelli dell’estrema sinistra contenenti espliciti richiami ad una necessaria violenza di classe che avrebbe estirpato dal suolo spagnolo il clero, la borghesia, la destra e i proprietari terrieri.



Quello del ’36-’39 quindi divenne inevitabilmente un terribile conflitto nel corso del quale nessuno si astenne dal commettere atrocità contro il suo nemico, vero o presunto che fosse, dalla spaventosa persecuzione anti-cattolica messa in atto nelle retrovie repubblicane, la quale toccò livelli di gratuità ed efferatezza che non si vedevano dai tempi della Rivoluzione francese, alla violenta repressione attuata dai franchisti, che durò per diversi anni anche dopo la fine delle ostilità mietendo numerose vittime, con l’intento di sterminare sistematicamente ogni forma di opposizione. Intento che, a onore del vero, esisteva anche nella fazione opposta, per quanto meno organizzato e più istintivo. Spaventosamente alta risulta la conta delle vittime fatte da entrambe le parti (sia sul fronte che nelle retrovie), le quali secondo lo storico Vicente Cárcel Ortí ammonterebbero a circa 270mila persone. 



Eppure, nonostante quest’immersione nell’odio più cieco e brutale, l’essere umano ha dimostrato di saper guardare oltre l’ideologia per riconoscere che, sotto sotto, quel “nemico” dipinto a tinte fosche da entrambe le parti rimaneva un uomo. Era infatti una persona in carne ed ossa, con la sua vita, i suoi affetti e, soprattutto, con un cuore che condivideva gli stessi desideri di giustizia del nemico. 

Ed è stato anche grazie a questa convinzione che in entrambe le fazioni ci furono gesti di profonda umanità, come quello avvenuto a Pozo de la Pal (Murcia), dove sia i repubblicani che i nacionales si astennero completamente dalle delazioni e dagli omicidi per tutta la durata del conflitto; del sindaco franchista di Zarza de Montàchez (piccolo centro abitato nei pressi di Càceres), che impedì che le tristi fucilazioni post belliche avessero luogo anche nel suo paese; di quell’anonimo operaio marxista di Madrid che salvò la vita del proprietario della sua fabbrica, il falangista Manuel Alonso, il quale in passato gli aveva insegnato a leggere; di quegli operai che consentirono al loro padrone di fuggire a Barcellona dalla prigione di Murcia nella quale era rinchiuso, o dei repubblicani del paesino catalano di L’Escala, che impedirono che il loro parroco venisse fucilato durante la persecuzione religiosa, il quale a guerra finita ricambiò il favore facendo sì che l’arrivo delle truppe di Franco non causasse un’epurazione degli oppositori. 
Sono questi eventi a dimostrare come il cuore dell’uomo, pur in circostanze tragiche come una guerra civile, è capace di dimostrare al mondo che esiste qualcosa in ognuno di noi che nessun odio, nessuna ideologia e nessun desiderio di rivalsa può essere in grado di cancellare. 

Ed è da questa convinzione che è necessario ripartire dopo eventi traumatici come quel feroce conflitto, se si vuole essere in grado di guardare a quel passato sanguinante con uno sguardo distaccato, capace però di lasciar trasparire una profonda misericordia nei confronti di quei tre anni di cui tutti, nessuno escluso, dovrebbero solo provare vergogna.