È una fortuna rara quella capacità di scrivere — o alludere — cose molto profonde con parole semplici, così leggere da impegnare il lettore, che non vuole restare alla superficialità di ciò che le parole sembrano dire nella loro sequenza materiale. È il caso di Antonia Arslan che nel suo ultimo romanzo armeno, Il rumore delle perle di legno (Rizzoli 2015) ci porta tra i ricordi: “usciti dalle loro scatole, dilagano nel cuore e prendono possesso della mente”. I ricordi non generano nostalgie inutili, ma guidano cuore e mente, cuore e ragione, diventano, cioè, un criterio decisivo per giudicare il presente, la vita che passa nella sua, spesso inquietante, quotidianità.
C’è un filo rosso — come un tessuto forte e antico — che attraversa questo romanzo: l’Armenia, la sua cultura, in particolare la sua lingua; ciò che si desidera conoscere (la scrittrice non ha mai parlato armeno), che solo si intuisce, si ascolta senza capire eppure entra nel cuore e lo “si riconoscerebbe dappertutto”. La vicenda armena non è mai tematizzata direttamente, entra nei ricordi, nei colori, nei sapori che di volta in volta affiorano e sfilano sulle righe del testo. Una cosa, un oggetto, un fatto diventano motivo di ricordo e di emozione per sempre. Il passato quindi è come un eterno presente. Anche la scelta dei tempi verbali lo conferma: il passato remoto, il presente narrativo e l’imperfetto sembrano voler prolungare nei lettori le emozioni provate. Il romanzo, composto da sette capitoli e un prologo, è una sorta di autobiografia in prima persona nel prologo e nel primo capitolo, dopo è una Bambina — con la lettera maiuscola — la voce narrante che passa dal passato al presente in un gioco continuo di rimandi.
Nelle prime pagine viene raccontato un episodio di Antonia bambina sempre in competizione con la bella madre Vittoria — a cui è dedicato il romanzo — che sempre ha rappresentato per lei un alter ego con cui confrontarsi, competere; la madre poliglotta e sportiva, di origine veneta ma romana di adozione, non armena e quindi senza macchia originale — perché gli armeni sono colpevoli per il solo fatto di esistere — è una stella ma capricciosa, perché — ricorda — si occupava di più dei figli quando erano malati, non sopportava le canzoni, non cantava mai, era così difficile da accontentare. Così la bambina organizza, perfida, una vendetta avvelenando i pochi limoni finalmente maturati su un albero della serra.
“Le luci del ’45” si intitola il primo capitolo. La famiglia vive sull’argine del canale alle chiuse del Dolo; siamo nel febbraio del ’45, la guerra sta finendo sotto i bombardamenti degli alleati. Il capitolo si apre con la descrizione di Antonia e i fratelli preparati per una fotografia: “Avevamo degli stretti golf a quadretti, fatti di lana recuperata di tutti i colori, e le guance rosse dal freddo. Il sole era basso sull’orizzonte, e una foschia lieve stagnava sopra il canale. La luce scintillava sulla neve”.
Nella casa con i bambini e la madre abitano il padre medico, il nonno, la tata Teresa, grande consolatrice dei soldati italiani e tedeschi bisognosi d’affetto, e poi la Gigia, la vera reggiora. Non mancano un soldato inglese atterrato con il paracadute in giardino, alcuni giovani armeni nascosti ai tedeschi e, alla mattina, alcune signorine: “arrivavano alla spicciolata, con aria dimessa e famelica, le ragazze di paesi vicini che campavano la vita andando coi soldati […]. Si erano passate parola che nella nostra grande cucina c’era il fuoco sempre acceso”. Mentre la guerra è agli ultimi bagliori la famiglia si sposta a Padova; l’infanzia e la giovinezza sono riempite dalla presenza dei nonni, sia quello armeno, sia quelli romani. La morte del nonno di Roma porta Antonia nella capitale: “E fu così che il sole, il grande sole, divenne un’immagine gelosa, da conservare solo per sé nei lunghi inverni padovani, l’altra faccia della morte, serena e terribile”.
La narrazione arriva poi a vicende più recenti, il focoso ’68 e un amore intenso e finito; ma anche ci dice della passione per i libri: “il mistero sempre rinnovato delle pagine scritte” e delle fantasie e dei sogni della protagonista. L’ultima parte è dedicata a un viaggio in Grecia con il giovane marito, quando i due sposi vanno “incontro abbronzati e felici al loro complicato futuro”. Un romanzo in cui parlano i silenzi e le allusioni, e un Altrove misterioso più volte citato.