Il toto-Nobel per la letteratura — assegnato oggi a Bob viene dipinto: Dylan — si mescola ogni ottobre a un altro gioco culturale di società: chi è stato il più grande “non-Nobel”? Quali se ne vanno aggiungendo?Il vincitore odierno non è così a sorpresa come viene dipinto a caldo: era probabilmente candidato già da alcuni assieme, forse con il collega Leonard Cohen. Ma potremo averne certezza, in teoria solo fra mezzo secolo. Soltanto da pochi anni, infatti, la Fondazione Nobel ha cominciato a desecretare i suoi fascicoli d’archivio più vecchi di cinquant’anni. E lasciando perdere la ragioni della critica letteraria o le analisi geopolitiche, frale 3005 nomination per 60 premi assegnati riservano una miniera di curiosità. L’ultima è fresca di pochi mesi: nel 1965 fra i candidati ufficiali al Nobel (cioè quelli segnalati all’Accademia di Svezia da nominator qualificati) c’era Giovanni Guareschi.
L’autore della saga di Don Camillo — classificato a Stoccolma come “journalist” — si ritrovò ai nastri di partenza con altri due non-Nobel italiani (Alberto Moravia e Giuseppe Ungaretti) e con il controverso vincitore di quell’anno: il romanziere sovietico Mikhail Solokhov (con il premio al Placido Don il Nobel intendeva rappacificarsi con l’Urss dopo lo strappo di Boris Pasternak, nel 1958). In lizza c’era — per la quarta volta — anche Georges Simenon, oggi considerato uno dei maggiori non-Nobel di sempre. Con Guareschi gareggiò anche il prototipo del non-Nobel moderno: l'”Omero” argentino Jorge Luis Borges, che correva già per la sesta volta consecutiva (dopo di lui gli ispanici latino-americani sono stati invece parecchio gratificati: Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez, Octavio Paz e Mario Vargas Losa)). Il 1965 registrò il primo tentativo noto di Marguerite Yourcenar e il terzo di Vladimir Nabokov, l’ottavo di Ezra Pound: tutti rigorosamente non Nobel.
Ma che ci faceva Guareschi in una competizione così cosmopolita e aristocratica, giocata fra accademie e ambasciate? Lo aveva indicato un personaggio che oggi dice ormai poco, ma niente affatto banale. Mario Manlio Rossi insegnava allora filologia all’università di Edinburgo, dopo una vita politico-intellettuale complessa. Emiliano come Guareschi, era stato in gioventù vicino a personaggi come Papini e Prezzolini, prima di lunghe permanenze all’estero (soprattutto in Gran Bretagna, dove fu molto vicino allo scrittore irlandese William B. Yeats, Nobel 1923). Filosofo neo-platonico, anglista, studioso dell’esoterismo e della letteratura fantastica, Rossi è riemerso negli ultimi anni dal dimenticatoio in un contesto molto particolare: le tensioni politico-culturali in cui sarebbe in parte maturato l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, ad opera dei Gap fiorentini nel 1944.
La “candidatura Guareschi” (vedremo se ripetuta nelle prossime desecretazioni) è però ancora una storia da raccontare. Chissà se ha qualcosa a che fare con altre candidature italiane mai approdate al Nobel: quelle di Benedetto Croce e Ignazio Silone, cioè con i conti (seri) che la cultura italiana ha dovuto fare con se stessa e con quella europea dopo la parentesi del fascismo e la tragedia della guerra. Quel che è certo è che il “piccolo mondo” di Guareschi — non diversamente dalle inchieste del commissario Maigret — è stato ultra-tradotto e ultra-venduto nel mondo (20 milioni di copie).
La classifica dei non Nobel resta comunque saldamente capeggiata dal grande escluso dell’edizione di debutto del premio. Nel 1901 Lev Tolstoj era considerato il superfavorito, ma la scelta dell’Accademia di Stoccolma cadde sul poeta francese Sully Prudhomme: uno dei tanti premiati che non hanno lasciato traccia nella storia della letteratura.
Ma era ancora fresco il dettato testamentario di Alfred Nobel, che aveva espresso predilezione per letterati propensi all'”idealismo”. L’autore di Guerra e pace non ricevette neppure una nomination (ne ebbe negli anni successivi, a differenza di Anton Cechov). Tra i 25 candidati del 1901 c’erano Emile Zola (mai premiato), il romanziere polacco di Quo Vadis, Henryck Sienkiewicz (award 1905) e l’italiano Antonio Fogazzaro (in corsa poi altre 7 volte: non vinse mai, ma fu lui a nominare Giosuè Carducci, primo italiano premiato nel 1906).
Marcel Proust e James Joyce non furono mai degnati neppure di una nomination, così come Henry James o Mark Twain oltre Atlantico; per non parlare di Franz Kafka, Robert Musil, Virginia Wolf o Francis Scott Fitzgerald. Il Nobel è andato invece alla maggioranza dei grandi di lingua tedesca nel ventesimo secolo (Thomas Mann, Hermann Hesse, Heinrich Boll, Gunther Grass ed Elias Canetti). Fra André Malraux e Albert Camus — i “gemelli” francesi di metà ‘900 — solo il secondo tagliò il traguardo.
Hanno avuto il premio gli americani yiddish Saul Bellow e Isaac Singer e “l’americano a Parigi” Ernest Hemingway. Fino al 1965 mai una nomination, invece, per i beat Jack Kerouac o Allen Ginsberg, né per Truman Capote, comunque mai premiati in seguito. Il muro culturale caduto ieri davanti a Bob Dylan e’ stato alto attorno al maestro del noir, Raymond Chandler: e sembra escludere tuttora i grandi autori contemporanei di best seller (Michael Crichton, John Grisham o il funambolico James Ellroy). Più facile — dicono — che il Nobel torni in futuro nella terra dei “narratori laureati” John Steinbeck e William Faulkner guardando a un Don De Lillo o un Jonathan Franzen. Il premio è 1993 è intanto andato a Toni Morrison, narratrice afro. Niente invece a J.D. Salinger.
In Gran Bretagna, prima di Samuel Beckett, ha ricevuto il premio Winston Churchill: per una storia in prima persona della seconda guerra mondiale. Gli ultimi Nobel russi sono andati a due scrittori dissidenti ancora in era sovietica: Aleksandr Solzenicyn (1970) e il poeta Joseph Brodsky (1987). Poi più nulla per la lingua di Dostoevskij. Fra i letterati di lingua araba è stato premiato solo l’egiziano Neghib Mafuz, ormai quasi trent’anni fa. Non ha finora ricevuto il Nobel Salman Rushdie, lo scrittore iraniano colpito dalla fatwa islamica. L’hanno invece ricevuto, negli ultimi anni, molti scrittori a vario titolo “di trincea” (anche mediatica): dal turco Orhan Pamuk e all’ultima premiata, l’ucraina-bielorussa Svetlana Alexievich.
Nel 1964 Stoccolma affrontò un caso finora unico di “non-Nobel”: il rifiuto dell’assegnazione da parte del maître à penser parigino Jean Paul Sartre (nel 1958 Mosca aveva vietato a Pasternak di ritirarlo). Quell’anno entrarono in lizza per la prima volta Moravia e Ungaretti. Due “nominati” che sono andati a ingrossare le fila ufficiali dei “non-Nobel” italiani. Ne fanno parte, fra altri, il misterioso saggista Giacomo Stampa (nel 1901), il glottologo Angelo de Gubernatis, il filologo Francesco D’Ovidio, Edmondo De Amicis, il poligrafo sardo Salvatore Farina (l’isola fece invece centro con Grazia Deledda nel 1927), la poetessa lombarda Ada Negri, la giornalista Matilde Serao e il commediografo Cesare Pascarella, entrambi napoletani (negli anni 80 del secolo scorso è stato sicuramente candidato Eduardo De Filippo).
Luigi Pirandello vinse nel 1934 al primo tentativo: su indicazione secca di Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica 1909, presidente dell’Accademia d’Italia, noto allora nel mondo come oggi un Bill Gates. Ungaretti fu amareggiato quando nel 1959 Stoccolma premiò Salvatore Quasimodo: ma le carte Nobel dicono che il poeta siciliano aveva avuto più nomination. Eugenio Montale fu poi “risarcito” ma dovette attendere fino al 1976. Dopo Pirandello, non è stato premiato più nessun romanziere italiano (Riccardo Bacchelli è stato più volte candidato, non si sa ancora se Calvino lo è stato dopo il 1965). Nel 1997 Dario Fo, sesto e finora ultimo Nobel italiano per la letteratura – mancato proprio oggi – è stato insignito come “erede dei giullari medioevali”. Tra qualche anno si avrà conferma ufficiale che Umberto Eco è stato candidato: così come il germanista Claudio Magris e (dicono) Dacia Maraini, a lungo compagna di Moravia. Dall’anno scorso il giallo sull’identità di “Elena Ferrante” si nutre anche di voci di candidatura in Svezia.
Oggi alle 13 sarà annunciato il 109esimo Nobel per la letteratura. Ma chissà se uno dei nominee battuti sarà degno di entrare nell’albo d’oro dei non-Nobel.