Non credo sia immediato per tutti collegare la Georgia, primo approdo del viaggio apostolico di papa Francesco nelle terre caucasiche, ad immagini note. Eppure, dal paesaggio al patrimonio culturale, è un paese che sorprendere senza sosta chi lo percorre lungo le sue vie principali o addentrandosi in impervie vallate. Pur avendo avuto una cura secolare dei loro monumenti preservandoli nella loro identità e integrità, sia dalle ricadute delle eresie monofisite e iconoclaste sia dagli assalti delle confinanti potenze musulmane, il popolo georgiano sembra aver mantenuto una sua discrezione nel far conoscere al mondo la ricchezza della propria cultura. Ma, come ha chiarito nell’intervista rilasciata in questi giorni Marilyn Kelly Buccellati, tra le più attive promoter della Georgia nel mondo occidentale,  proprio il viaggio di papa Francesco offre l’occasione di aprirci su uno scenario di straordinaria ricchezza e bellezza, oltre che di puntuale attualità. La testimonianza infatti dell’arte georgiana si fonda su un intrinseco, quasi connaturato, senso di cattolicità, cioè di capacità di recepire e rigenerare entro la propria tradizione forme acquisite sia lungo le fila del tempo millenario della sua storia sia lungo le vie che da sempre la connettono con l’intero continente euroasiatico.



E’ l’impressione sorprendente che offre la cattedrale di Samtavisi (XI-XII sec.) quando si presenta alla nostra vista in tutta la sua monumentalità, dopo aver varcato il recinto murario che ancora la custodisce, in un lembo di terra drammaticamente segnato dalla progressiva erosione dei confini che l’esercito russo opera dall’enclave osseto causando un massiccio esodo migratorio verso la capitale Tbilisi. Valorizzando le diverse intonazioni cromatiche della pietra locale, grandi blocchi squadrati costruiscono volumi che articolano un solenne impianto cruciforme proteso in tutte le direzioni, compresa quella celeste con uno slanciato tiburio, tipicamente georgiano. I prospetti esterni sono caratterizzate da ampie arcate a muro che, come nel romanico europeo, girano intorno a tutto l’edificio recuperando l’idea del peristilio greco, qui ricordato anche dal basamento in forma di crepidoma. Le esili colonne a fascio che tracciano questa partitura sono dotate di elementi concettualmente assimilabili a basi e capitelli classici, ma il loro disegno si rifà ai repertori naturalistici della grande oreficeria georgiana, ancora oggi testimoniata da esempi databili fino al III millennio, eccezionali, per gusto e tecnica. Invitati dallo stesso ritmo di arcate a girare tutto attorno al monumento — centralità e verticalità esaltano la vocazione architettonica georgiana — ci si ritrova sul lato absidale. Più che un prospetto di chiusura, questa vera e propria facciata — una iconostasi a cielo aperto che lascia solo intravedere l’aggetto delle tre absidi — si presenta come un manifesto del senso redentivo e generativo della Croce. 



Dalla conversione al cristianesimo (337 d.C.), la Croce è il segno per eccellenza della cultura georgiana. Erette su colline, grandi croci innalzate su steli figurate, sono state il nucleo originario delle prime chiese. Ma, come appunto ci insegna il prospetto absidale di Samtavisi, che si impagina ricordando quei primi monumenti cristiani, la croce, segno del sacrificio di Cristo e quindi della più grande misericordia del Padre, è portatrice di vita nuova nella Resurrezione, per cui si innalza come un poderoso albero che genera foglie e frutti, come incredibilmente capita alle arcate di questa cattedrale che, anche agli angoli, si trasformano in rigogliosi vitigni. Un naturalismo degno delle più fantasiose cattedrali gotiche europee che va insieme all’espressività quasi realistica della pittura georgiana, sempre accompagnata da lunghe didascalie a raccontare il cristianesimo come accadere di fatti e uomini, in quella grafia inventata apposta per diffondere il Vangelo al sud del Caucaso. La bellezza nel suo significato più vero si staglia ancora oggi nelle forme di questa cattedrale, monito propositivo e praticabile contro ogni prepotenza moderna.

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