Il tentativo di colpo di stato in Turchia lo scorso luglio ha evidenziato il malessere presente in alcuni settori dell’esercito, sempre più subordinato al governo di Erdogan, ma ha anche messo in luce il profondo conflitto tra il presidente della Repubblica e Fetullah Gülen, predicatore e leader del movimento musulmano Izmet (Servizio), accusato dal presidente della repubblica di essere il regista occulto dell’operazione. 



Gülen si è affrettato a prendere da subito le distanze dai golpisti, ma ciò non è stato sufficiente ad impedire che la scure della repressione governativa si abbattesse sulla vasta comunità che rappresenta una delle realtà religiose più significative all’interno della società turca. Migliaia di membri del movimento gulenista, impiegati nell’amministrazione pubblica, sono stati arrestati o allontanati dai propri posti di lavoro, mentre scuole e università fondate da Gülen sono state chiuse con la sospensione dei docenti. 



Si tratta, in realtà, di un’ulteriore tappa — molto più violenta delle precedenti — della guerra aperta da Erdogan contro questa comunità religiosa e la sua guida avviata dal 2013, quando, a seguito della violenta repressione dei manifestanti di Gezi Park, Fetullah Gülen ha duramente criticato i metodi autoritari e antidemocratici di Erdogan. Fino a quel momento il movimento gülenista aveva guardato con interesse all’ascesa politica dell’Akp, il partito fondato da Erdogan che si presentava con un’agenda riformista, proponendo una sintesi islamo-democratica assai diversa sia dalla vecchia tradizione kemalista — portata avanti dal Chp (Partito repubblicano del popolo) — sia dall’islamismo politico anti-sistemico proposto negli anni precedenti da Ecmettin Erbakan.  



A partire dal 2002, l’Akp di Erdogan ha rappresentato la grande novità politica all’interno di uno scenario turco in radicale mutamento. Nei due decenni precedenti, infatti, si era consumata la parabola del kemalismo — imperniato su laicismo e statalismo economico — per lasciar spazio al maggior dinamismo dell’impresa privata, oltre a favorire l’apertura internazionale della Turchia, sia verso l’Europa sia verso gli altri paesi musulmani della regione. In questo contesto anche l’islam ha guadagnato spazio come fattore di ordine e di moralizzazione della vita pubblica in un periodo in cui essa era segnata dall’estremismo politico e da una diffusa corruzione. Tutto ciò ha favorito l’affermazione di comunità e movimenti religiosi che nel corso del Novecento si erano sviluppati nel vuoto lasciato dalla soppressione degli ordini sufi voluta da Mustafa Kemal nel 1925. 

Va sottolineato, infatti, come lo spazio religioso turco sia stato dominato storicamente da diverse confraternite sufi, espressione di un islam fortemente spirituale e mistico, ampiamente diffuso nel territorio e assai influente tra la popolazione. Con la soppressione delle confraternite, a seguito della laicizzazione imposta da Mustafa Kemal, tale tessuto religioso, molto radicato nella società turca, ha dovuto ripensarsi. Dopo una fase di repressione, a partire dagli anni Cinquanta presero forma nuove associazioni e movimenti che si rifacevano, in vario modo, alle esperienze sufi precedenti.  

Il più importante leader di questo periodo è stato Bediüzzaman Said Nursi, autore di alcuni importanti testi spirituali che hanno fortemente influenzato il giovane Fetullah Gülen. Nato nel 1941, Gülen ha dato vita ad una comunità che conta oggi in Turchia circa mezzo milione di aderenti. Ispirandosi a Nursi, Gülen ha proposto una dottrina adatta al mondo moderno e capace di dialogare con gli altri universi culturali e religiosi. Povertà e ignoranza sono considerati due dei principali mali contro cui combattere. Questo spiega l’enorme impegno del movimento gulenista nell’educazione, fondando scuole e università in diverse parti del mondo per favorire una corretta conoscenza dell’islam e uno scambio proficuo tra culture.  Personalità di grande carisma, Gülen — che dal 1997 vive in esilio negli Usa — ha cercato, da una parte, di contrastare in Turchia l’idea consolidata dell’islam come forza “politica” antisistema, affermando una dimensione spirituale e morale della fede, dall’altra, ha combattuto — specie in Occidente — l’ideologia dello “scontro delle civiltà” promuovendo un’immagine diversa dell’islam, come religione della compassione e della pace. 

Protagonista dell’islam in Turchia, quello proposto da Gülen rappresenta, pertanto, un nuovo modello religioso, un’ampia realtà organizzata, tenuta insieme da una forte solidarietà spirituale ma anche da un’efficiente rete economico-sociale. La fondazione di istituzioni, centri culturali, scuole e giornali, oltre all’ampia trama di relazioni umane, spirituali ed economiche che attraversano trasversalmente la società turca, rende il movimento Izmet un soggetto rilevante, da alcuni accusato di essere una sorta di “Stato nello Stato”. Proprio il suo peso specifico all’interno del ceto medio turco, tra i piccoli e medi imprenditori, in alcuni settori dell’amministrazione pubblica e tra la borghesia urbana emergente, e la sua proposta di un islam aperto e moderato, rendono il movimento gulenista in questo momento l’unico autorevole soggetto capace di contendere a Erdogan e all’Akp l’egemonia sulla società turca, in una fase in cui manca una valida alternativa “islamica” al crescente strapotere del presidente. Risiedono probabilmente qui i motivi di tanto accanimento di Erdogan nei confronti di Gülen e dei gülenisti.