Che strano paese, l’Italia. C’è sempre qualcosa che sfugge, che scappa di mano. E’ l’imprevedibile che spiazza. Che non rientra nell’ordine delle cose. Allora fa specie che alla tenera età dei settantacinque, un consulente d’azienda di lunghissima data decida che è giunto il momento di vestire i panni dell’imprenditore. In questa Italia qui. Abituata a voltare le spalle alle aziende, specie quelle più piccole. Lui che è un collezionista d’arte; che non ha mai perso la passione giovanile di girare il mondo alla ricerca della bellezza, un paio di anni fa ha tradotto quella vis in impresa. 



Quella di Pompeo Locatelli si chiama Alidem – l’arte della fotografia. Siccome il soggetto, se le ore della giornata sono ventiquattro ne utilizza venticinque, trova il tempo anche per scrivere. Articoli e libri. Con l’ultimo — in libreria in questi giorni per i tipi Mursia — entra a piedi uniti nella realtà. Come il roccioso Burgnich dei tempi d’oro (Locatelli è interista mica per ridere…). Ci ha incuriosito il titolo: La riscossa degli imprenditori. Ci ha catturato il sottotitolo: La solitudine e l’orgoglio: così le imprese resistono alla crisi. E rilanciano. Ed è nella parte conclusiva che Locatelli racconta come e perché gli sia venuto in mente di buttarsi nel clima tempestoso dell’imprenditoria italiana. “Io dico sempre: piangersi addosso non serve. Bisogna tirarsi su le maniche e mettersi in gioco. Un’educazione e un metodo imparati in famiglia quando ancora con i calzoni corti facevo i compiti nel retrobottega. Mio papà e mia mamma portavano avanti un bar-pasticceria a Milano, in zona Sempione: sacrifici tanti, ferie neanche a parlarne. Eppure, non ho mai sentito lamentele, recriminazioni. Sono cresciuto a quella scuola lì. Che è poi la scuola dei tanti Brambilla, dei piccoli imprenditori della porta accanto, quelli che hanno ricostruito l’Italia dopo la guerra senza darsi meriti. E con una politica che certo non li ha tenuti sul palmo della mano, distratta da altro, da relazioni ambigue con un capitalismo poco lungimirante e sempre zoppicante. Per me i Brambilla sono degli autentici eroi. Io non mi sento certo un eroe, però, a dispetto di fisco, burocrazia e mentalità statalista, ci ho voluto provare”. Dice così e tutto di un fiato, il Locatelli che alterna Mahler alle ballate di Brassens. Che dopo una recente camminata, tra la Ghisolfa e il Sempione, ha ripreso qualche pagina dell’amato Testori; che non si vergogna talvolta a canticchiare “Non arrossire”, “Geneviève” e “Torpedo Blu” di quel Gaber che abitava in via Londonio, a un tiro di scoppio dalla casa dove il nostro è cresciuto.   



Nel libro si sofferma sul piccolo imprenditore brutto anatroccolo che mai diventerà cigno.  

L’Italia non è un paese per favole a lieto fine. Tutto concorre a piegare l’entusiasmo dei piccoli imprenditori. Ne incontro parecchi per vicende professionali e le storie che mi comunicano hanno il retrogusto amaro del delitto perfetto. Mi colpisce il senso di solitudine che li pervade. Si sentono abbandonati. Appunto, brutti anatroccoli. La loro, prima che un dramma economico, è una tragedia umana. Davanti allo stato di crisi profonda della propria attività imprenditoriale scatta la vergogna, il rinchiudersi in se stessi. E, in genere, il macerarsi in ufficio fino a sera tarda per trovare qualche via d’uscita che non fa che peggiorare la situazione. Da soli non se ne esce. Bisogna avere l’umiltà e il coraggio di farsi accompagnare, anche nel prendere la decisione più difficile. Altrimenti si rotola giù, i debiti si accumulano e gli strozzini sono dietro l’uscio… La realtà dice che con le banche, impegnate da tempo a non fare più le banche, il dialogo è interrotto da tempo. E che la loro pratica più in voga è anche quella più dolorosa: lo sportello in faccia!



 

Ma anche le banche soffrono. O no?

Certo. Ma la causa delle sofferenze è molto farina del proprio sacco. Intendiamoci, io non mi accodo al pensiero brechtiano per cui le banche rappresentano il male per definizione. Perché senza di esse finirebbe immediatamente la materia prima, cioè il denaro. Tuttavia, è necessaria una riforma strutturale del settore, direi sistemica. Non è più la stagione dei rammendi, delle toppe tattiche. Così facendo i buchi diventano voragini. A danno, soprattutto, dell’economia reale. Leggi famiglie, piccole imprese e piccoli risparmiatori. Insomma, le banche tornino a fare le banche con gli strumenti innovativi del caso. E si comportino come tutte le altre aziende senza cadere nella tentazione dei giochi di prestigio per presentare numeri che non corrispondono alla realtà. Urge trasparenza. Visto che poi a pagare è sempre l’ultima ruota del carro, cioè il cittadino. E visto che i loro errori vengono di norma rubricati alla voce salvataggi, più o meno di Stato. Per il potente di turno una scialuppa si trova sempre! Chissà perché mi torna in mente la fulminante frase di Mark Twain: le banche ti prestano l’ombrello quando c’è il sole e te lo chiedono indietro quando inizia a piovigginare.

 

Lei attacca un certo pensiero assai diffuso su media per cui è naturale che molte piccole aziende chiudano i battenti per manifesta incapacità a reggere la competizione. 

Infatti. Mi sembra per lo più un alibi, un lavarsi la coscienza sporca. Quel che sta accadendo nell’indifferenza dei decisori pubblici non ha nulla di darwiniano. Non stiamo assistendo alla selezione naturale della specie. Stiamo assistendo a una morìa del tutto innaturale. Il piccolo imprenditore, per educazione e cultura, non chiede la scialuppa di salvataggio, domanda solo di poter operare sul mercato secondo regole del gioco uguali per tutti. Sfido chiunque a dire che lo siano. Al di là di annunci e iniziative di corto respiro, permane la sensazione che nel nostro Paese si agisca avendo bene in mente i rapporti da salvaguardare per gli interessi dei soliti noti. Crisi o non crisi il capitalismo di relazione rimane nel cuore della politica. E’ troppo forte l’attrazione. Come spiego nel libro, l’Italia vive dentro la cappa irrespirabile della legge del più forte. Si salva Monte dei Paschi e si affondano le piccole imprese del Triveneto. Si salva Alitalia e si lascia al suo destino la piccola imprenditoria del nostro Mezzogiorno. Insomma, Darwin non c’entra nulla! 

 

Locatelli, perché scrive che non ce la stanno raccontando giusta?

Io tocco con mano la realtà e dico che il metodo che adotta la politica è molto pericoloso: si prendono i fatti non per quello che sono e per il quadro drammatico che esprimono; si interpretano e così li si depotenzia; li si svuota del loro contenuto di verità. Provo un certo fastidio nel leggere frasi del tipo che l’Italia ha ripreso a camminare, i consumi sono in ripresa, le famiglie sono più serene, gli imprenditori hanno recuperato la fiducia. Perché non è vero. Ottimismo pilotato e a buon mercato che serve solo al manovratore e alla sua corte. Piuttosto affollata, in verità. Che nostalgia per il giornalismo d’inchiesta, quello che andava nei territori per raccontare ciò che vedeva e ascoltava. In barba al re, al ricco e al cardinale…

 

Eppure i piccoli rilanciano nonostante i venti contrari. Lei vede comunque un Rinascimento delle piccole imprese. 

E’ proprio così. Altrimenti l’Italia non ha chance. Il suo modello industriale è quello, la sua vera ricchezza, il punto di differenziazione. Non è un caso che in prestigiose università internazionali vengano studiate con grande attenzione le nostre Pmi. Come non è singolare che un colosso del calibro di Bank of China ha deciso di investire sulle nostre Pmi. L’Italia può ripartire solo se si dà fiducia, prima di tutto, ai Brambilla. Quelli che ci sono e i nuovi che vogliono arrivare sulla scena. Magari giovani che intendono approcciare con entusiasmo e competenza settori di grande prospettiva come, ad esempio, il turismo e il cibo. Abbiamo una materia prima come nessuno al mondo. E’ quello il nostro petrolio. Ma occorrono raffinerie. E piccoli imprenditori creativi e visionari. Puntare esclusivamente sul manifatturiero può rivelarsi un limite. Confido nella vista lunga di piccoli imprenditori rinascimentali. Una scossa. Una riscossa.

 

(Enzo Manes)

 

Pompeo Locatelli, “La riscossa degli imprenditoriLa solitudine e l’orgoglio: così le imprese resistono alla crisi. E rilanciano”, Mursia, Milano 2016.