Il giudizio di papa Francesco sull’attuale condizione della libertà religiosa nel mondo è tanto severo quanto preoccupato. È, infatti, costretto a constatare che essa “non è rispettata in tutto il mondo” e non solo in pochi luoghi ma “in tanti Paesi”. Si può persino affermare che essa è “più spesso affermata che realizzata”, essendo “costretta a subire minacce di vario tipo” che si concretano in violazioni e “gravi oltraggi”. Soprattutto nel Medio Oriente “le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana”.
Per quanto specificamente riguarda i cristiani si danno persino “nuove forme di persecuzione” che “in alcuni Paesi hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza”, a tal punto che i cristiani che “subiscono discriminazioni a causa della testimonianza a Cristo e al Vangelo” e che “come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo (…) sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa”. Di più: “la persecuzione contro i cristiani oggi è addirittura più forte che nei primi secoli della Chiesa, e ci sono più cristiani martiri che in quell’epoca”.
Le preoccupazioni di papa Francesco si estendono anche a Paesi e ambienti “che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani”, ma dove “di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni”. In particolare, in una meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, il pontefice avverte che oltre alla “persecuzione esplicita, chiara” che genera i martiri, esiste “un’altra persecuzione della quale non si parla tanto”. Una persecuzione che “si presenta travestita come cultura, travestita di cultura, travestita di modernità, travestita di progresso: è una persecuzione — io direi un po’ ironicamente — educata”. Essa si realizza “quando viene perseguitato l’uomo non per confessare il nome di Cristo, ma per volere avere e manifestare i valori di figlio di Dio”. È perciò “una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli” che vengono privati della loro libertà.
Papa Francesco non si limita a questa denuncia di carattere generale, ma, in più di una occasione, ha cura sia di identificare la matrice sociologica, culturale, o, meglio, ideologica di tale forma di persecuzione sia di segnalarne le più significative manifestazioni.
Sotto il primo profilo merita attenzione soprattutto quanto ebbe a dichiarare in un incontro con i giornalisti, rilevando che mentalità e metafisica post-positivista, “eredità dell’illuminismo”, inducono a “credere che le religioni o le espressioni religiose sono una sorta di sottocultura”, che si riduce a “poca cosa”, estranea alla “cultura illuminata”. Gli orientamenti criticati, come constatato nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, inducono a ignorare “la ricchezza delle tradizioni religiose”, a denunciare in modo acritico “i difetti delle religioni”, a disprezzare “gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente”, anche quando portatori di “principi profondamente umanistici”.
Per quanto poi concerne i profili di carattere sociologico papa Francesco, nella dichiarazione congiunta con il patriarca Kirill, ha osservato che già di per sé “la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio e alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa”. E, in altra occasione, ha segnalato che non vanno comunque ignorati i deleteri effetti della “diffusa indifferenza relativista, connessa con la disillusione e la crisi delle ideologie verificatasi come reazione a tutto ciò che appare totalitario”. E ha pure rilevato che occorre far fronte anche alla “grande sfida del mondo globalizzato dove il pensiero debole — che è come una malattia — abbassa anche il livello etico generale, e in nome di un falso concetto di tolleranza si finisce per perseguitare coloro che difendono la verità sull’uomo e le sue conseguenze etiche”.
Tutti questi fattori, secondo il pontefice, inducono a una sorta di “privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee”, a “ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo”, a spingere i cristiani “ai margini della vita pubblica”, a impedire la manifestazione della fede con segni di carattere religioso. Contro queste tendenze il pontefice avverte che lo stesso “sviluppo ordinato di una civile società pluralistica” esige “che non si pretenda di confinare l’autentico spirito religioso nella sola intimità della coscienza, ma che si riconosca anche il suo ruolo significativo nella costruzione della società, legittimando il valido apporto che esso può offrire”.
Una esigenza che papa Francesco non esita a evocare espressamente nelle invocazioni conclusive della Via Crucis al Colosseo del Venerdì Santo 2016: “O croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato”. Un giudizio indubbiamente severo che, pur nella sua sinteticità, entra nel merito di una problematica particolarmente delicata e controversa. Come noto, la rimozione dei crocifissi dalle aule delle scuole pubbliche è stata motivata con l’esigenza di rispettare il pluralismo religioso e la pari dignità delle differenti convinzioni. Una questione più ampiamente affrontata nell’esortazione apostolicaEvangelii gaudium dove si avverte: “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose”. Tra le manifestazioni della persecuzione “educata” papa Francesco segnala anche la negazione ai credenti del diritto di ricorrere all’obiezione di coscienza nei confronti di leggi che si pongano in contrasto con i valori derivanti dalla loro fede.
Al riguardo le sue considerazioni sono appena accennate ma del tutto categoriche: “l’obiezione di coscienza è un diritto ed entra in ogni diritto umano”. Di conseguenza chi ne impedisce l’esercizio “nega un diritto” che deve invece avere cittadinanza “in ogni struttura giudiziaria”. E nell’intervista a La Croix, alla domanda su come i cattolici “dovrebbero difendere le loro preoccupazioni in temi sociali quali l’eutanasia o il matrimonio tra persone dello stesso sesso” risponde che occorre innanzitutto “discutere, argomentare, spiegare, ragionare” a livello parlamentare perché così “cresce una società”. Una volta, poi, che la legge sia stata approvata, “lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica deve essere presente l’obiezione di coscienza, perché è un diritto umano” e in quanto tale deve valere anche per i funzionari governativi dal momento che anch’essi sono persone umane. “Lo Stato deve anche rispettare le critiche. Questa è una vera laicità”.
In conclusione si può osservare che nelle sue decise critiche alle degenerazioni del principio di laicità papa Francesco si colloca nel solco degli insegnamenti dei suoi predecessori, ma non senza privilegiare determinati profili con formulazioni talvolta del tutto originali. Una diversità di accenti dovuta sia alla personale sensibilità sia alle crescenti violazioni della libertà religiosa in molti Paesi.