Da parecchio tempo non credo più alle coincidenze. Qualcuno ha addirittura scritto un accattivante libro sul tema (Robert Hopcke, Nulla succede per caso, Mondadori, 2013). Ma devo dire che dopo le elezioni americane, parecchi pensieri si sono allineati per dare un’interpretazione a quanto è accaduto nel Paese a stelle e strisce. Tralasciando le tematiche relative alla sorpresa dei media che non sono riusciti a leggere correttamente quanto stava avvenendo e sono stati smentiti nelle previsioni quanto gli istituti di ricerca (meriterebbe una riflessione ad hoc anche il tema di come mai gli exit poll e le ricerche ultimamente non riescano mai a produrre indicazioni attendibili, ma non lo faremo in questa sede), ci sono alcuni elementi che meritano un’attenta considerazione.
Intanto va detto che per capire cosa sta accadendo servirà del tempo e i prossimi cento giorni ci faranno capire meglio in che direzione andranno gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo. Detto questo però, alcune convergenze interessanti mi hanno posto dinanzi ad uno scenario. In primo luogo, ho iniziato a leggere I deboli sono destinati a soffrire? di Yanis Varoufakis edito da La nave di Teseo. Un libro interessante che mi ha regalato un’amica. Nelle prime pagine, l’ex ministro greco parte nel suo lungo excursus da un episodio storico. 15 agosto 1971: il Nixon Shock. L’allora presidente degli Usa, su consiglio del segretario al tesoro John Connally decise di porre fine al sistema basato su Bretton Woods (il sistema aureo) che agganciava il valore delle monete europee al dollaro e all’oro (in pratica un’oncia di oro valeva 35 dollari e ogni moneta aveva un rapporto di cambio fisso con la moneta verde, garantita dai depositi aurei della Federal Reserve).
Questo il messaggio di Connally ai leader europei secondo la ricostruzione di Varoufakis: “Cari signori, per anni avete preso sottogamba il nostro servizio al sistema finanziario globale del dopoguerra — quello che noi avevamo istruito per aiutarvi a risorgere dalle macerie del disastro che voi stessi avete combinato. Vi siate permessi di violarne lo spirito e le regole, nella presunzione che noi, come Atlante, avremmo continuato a a sostenerlo a tutti i costi nonostante i vostri insulti e il vostro sistematico sabotaggio. Ma vi siete sbagliati! Domenica il presidente Nixon ha tagliato la cima di salvataggio fra il dollaro e le vostre monete. Vediamo ora cosa vi succederà! La mia sensazione è che le vostre monete sembreranno scialuppe di salvataggio buttate a mare dalla solida nave del dollaro statunitense, sbattute dalle onde del mare per le quali non erano mai state attrezzate, massacrandosi le une contro le altre e incapaci di tracciare la loro rotta”.
Ora, è vero che nel frattempo è nato l’euro, ma guardando la cronaca degli ultimi mesi, la lotta tra i paesi europei non è molto distante dalle scialuppe monetarie della metafora di Connally. E da quell’episodio emergeva, con forza, la voglia degli Stati Uniti di tornare ad occuparsi di se stessi.
Ma veniamo alla seconda riflessione che ne genera poi una successiva. Nel 1979 Margaret Thatcher divenne primo ministro inglese (prima donna a ricoprire la carica nel Regno Unito) e rimase nella posizione fino al 1990, segnando, in modo permanente, un periodo storico di grande forza per la Gran Bretagna. Quasi nello stesso arco di tempo (1981-1989) Ronald Reagan ricopriva la carica di presidente degli Stati Uniti. La sua elezione nel primo mandato fu il risultato di un periodo di malessere e difficoltà dell’economia americana e la sua presidenza segnò un ripresa importante che gli consentì di stravincere le elezioni del secondo mandato.
Ed ecco il terzo pensiero. Nel 2016 la Brexit ha segnato l’uscita della Gran Bretagna dall’euro (in questa sede non considero gli ultimi pronunciamenti dell’Alta corte sul tema referendario, ndr) e la voglia di tornare allo splendido isolamento degli anni d’oro. Parallelamente, l’elezione di Trump negli Stati Uniti e le sue idee su tasse, immigrazione, economia, al di là delle posizioni individuali sul tema, indicano con chiarezza la voglia degli americani di tornare a guardare dentro il paese per poi essere più forti fuori. Tutti questi elementi sono emersi con decisione due sere fa quando, stando a cena con un esperto di politica internazionale mi sono sentita dire: “Se ci pensate, quello che è accaduto negli ultimi mesi indica con una certa precisione che gli anglosassoni hanno deciso di tornare ad esercitare un ruolo da protagonisti nello scenario internazionale”.
Brexit e Trump sono due facce della stessa medaglia. Le prossime settimane diranno se la storia sta per ripetersi. L’Europa, come dopo l’uscita da Bretton Woods, deve capire cosa vuol fare per vivere le prossime sfide non da comprimaria. Il tempo corre. E per ora regna una grande incertezza. Almeno nel Vecchio Continente.