“La miseria che c’è qui è veramente terribile — eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore s’innalza sempre una voce — non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare —, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita”.



Queste parole della lituana Nijole Sadunaite riassumono in modo essenziale e vero il nucleo della sua vicenda di credente, passata per la repressione e la condanna da parte delle autorità comuniste e della polizia politica al lager e poi all’esilio in Siberia per aver diffuso le pubblicazioni clandestine della Chiesa lituana negli anni Settanta. 



Davanti a un regime — quello sovietico — che negava l’esistenza di Dio e propagandava attivamente la diffusione del cosiddetto “ateismo scientifico”, vediamo che al primo posto, nella testimonianza di Nijole, si trova anche nel tempo della persecuzione la serena certezza dell’opera di un Altro cui semplicemente non è possibile sottrarsi, e che esige di diventare affermazione insopprimibile del valore e della bellezza della vita: di una vita che, proprio perché donata da Dio, è irriducibile alle dispersioni, alle ferite e allo scempio che di essa vogliono fare gli oppressori e i negatori. Ma la bellezza e la ricchezza dell’esistenza, che lo sguardo di questa credente riconosce anche nelle circostanze più avverse, non possono rimanere semplicemente un fattore estetico o sentimentale: infatti, come lei stessa afferma, da questa esperienza deriva una modalità nuova di giudizio e di azione, che da un lato vede delinearsi per il futuro un compito di ricostruzione dell’umano e del mondo, e dall’altro individua nella forza disarmata dell’amore e della bontà la modalità in base alla quale questa ricostruzione può avvenire. E non è tutto: anche prima del tempo in cui sarà finalmente possibile rifare la realtà, bontà e amore sono conquiste quotidiane per la conversione personale, che è condizione necessaria per non soccombere all’odio e all’amarezza. 



Se le circostanze in cui Nijole visse persecuzione e privazione della libertà sono ben diverse dalla situazione attuale, la sua vicenda si mostra di grande valore per la verifica della fede di tutti, poiché mostra l’accadere di un soggetto adulto, capace di vivere anche le situazioni limite della deportazione e della persecuzione come occasione di una crescita che diventa percezione di una vocazione e di una missione per il bene di tutto il mondo, a partire dai suoi aguzzini. 

E’ il verificarsi di quanto affermava recentemente il papa emerito Benedetto, quando, commentando il rapporto di San Giovanni Paolo II con la misericordia, scriveva: “A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza”. 

Nijole Sadunaite ci testimonia innanzitutto per sé questa vittoria della misericordia, così attuale e necessaria, e per questo poterla incontrare nel libro di Giovanna Parravicini e Paola Ida Orlandi Il cielo nel lager. Nijole Sadunaite(Itaca, La Casa di Matriona, 2016) costituisce una occasione da non trascurare. Per amore a se stessi, innanzitutto. E come aiuto a riconoscere sempre più chiaramente quanto l’esperienza della misericordia sia fondamentale per la Chiesa del nostro tempo, e per ogni cristiano.