Si potrà pure eccepire sull’attendibilità storica de I Medici (Medici: Masters of Florence, regia di Sergio Mimica-Gezzan), serie televisiva andata in onda nelle settimane scorse, e si potrà pure sostenere che può aver dato adito a grandi confusioni sul piano storico e si potrà pure concedere che fosse più vicina ad una telenovela medievale che non alla ricostruzione di una storia fatta di cinismo, intrighi, congiure, metodi brutali. Però tutte queste critiche dicono poco rispetto al fatto che I Medici hanno “bucato” lo schermo: e non nel senso che le tre puntate hanno avuto uno share di oltre sei milioni di spettatori a puntata, quanto perché regista e produzione sono riusciti a far percepire alla massa la suggestione di una storia che, se ben raccontata, affascina. Chi dice che il passato fa meno presa sull’animo umano del presente o del futuro? Tutto sta nel “come” lo si racconta e lo si fa rivivere: si parte dal dato storico e poi, zacchete, si fanno le debite concessioni all’arte del romanzare, un po’ di sesso et voilà, ecco il prodotto.
La serie ha rappresentato l’anima cristiana dell’epoca capace di concepire Dio per quello che è, “orizzonte totalizzante di ogni umana azione”: quando Dustin Hoffman, alias Giovanni di Bicci (1360-1429), il capostipite dei Medici, afferma a proposito di Santa Maria del Fiore che “Ogni umana conquista è una gloria di Dio”, è una riprova del fatto che gli uomini di quel tempo pensavano sé stessi come creature e Dio come destino di vita e di bellezza. Altri passaggi: il perdono, l’esser capaci di omicidio, seminare figli illegittimi… allora anche le miserie erano cristiane. Luce, fotografia, dialoghi esterni, tutto di ottima fattura. Poi bravi gli attori e belle le donne, forse più per la consumata arte del regista che non nella realtà, come nel caso di Annabel Scholey, Contessina; Richard Madden, il nostro Cosimo, non era così bello: naso aquilino, magro, di colorito olivastro, di carattere spesso cupo, non sapeva parlare in pubblico, aveva però eleganza e modi affabili. E anche la figura di Giovanni di Bicci, presentato come uomo senza scrupoli, non corrisponde alla storia. Giusto invece avergli riconosciuto l’arte della prudenza e del saper “attendere”. Sarà proprio questo carattere, ereditato dal padre, che permetterà a Cosimo (1389-1464) di uscire vittorioso nella lotta contro gli Albizi per il predominio della Signoria.
Da questo episodio pure Machiavelli ne trarrà una lezione di politica: “E’ meglio temporeggiarle le cose che oppugnarle. Perché temporeggiandole o per loro medesime si spengono o almeno il male si differisce in più lungo tempo”. Ma sarà sempre un tratto caratteristico dei Medici, la prudenza. E’ così vero che il simbolo del granduca Cosimo I (1519-1574), forse il più grande dei Medici, era una tartaruga e il motto “festina lente”, un ossimoro, che significa agire con decisione e con cautela.
Questa sarà la linea politica che ritornerà sempre nella storia dei Medici: il bene comune, la discrezione nell’ostentare la propria ricchezza, non farsi vanto dell’amicizia con i potenti, l’unità della famiglia, onorare le alleanze e, anche se sgradite, coltivarle se servono: è l’idea di mediazione. Queste linee di condotta parrebbero nascondere spregiudicati tatticismi, in realtà Giovanni di Bicci benché ambizioso fu così: “Non ama si parli troppo di lui, anche se è soddisfatto che lo si indichi come uno che si adopera per il bene comune”. (M. Vannucci).
Il film non ha saputo dare dei Medici, a partire soprattutto da Giovanni di Bicci, le proporzioni della loro ricchezza. Si trattava di un vero impero commerciale, una holding moderna. Le banche medicee erano una ragnatela: oltre Roma, Venezia, Milano e Pisa in Italia si contavano imprese associate con cospicui rapporti d’affari. All’estero filiali da Bruges a Lione, da Londra a Parigi, Avignone e poi in Spagna e poi ancora Anversa, Lubecca. Ogni filiale dipendeva da quella madre di Firenze.
La cristianità inoltre stava vivendo la stagione rinascimentale; le élites colte andavano sempre più secolarizzandosi e con esse il clero e il papato. E se i Medici posero sulla loro insegna il motto: “Col nome di Dio e della buona ventura”, che di certo prefigura l’idea tutta moderna con cui l’uomo sempre più si affiderà a se stesso e sempre meno a Dio, è altrettanto certo che fino a Cosimo, almeno, i Medici benché mercanti e dediti agli affari furono uomini di fede. E di fede sincera. E se si conteranno tra i discendenti dei Medici ben due papi, Leone X e Giulio II, ciò non fu soltanto per nepotismo ma perché i Medici erano coinvolti nella vita della Chiesa. E qui davvero il film non è stato all’altezza di restituirci il contesto ecclesiale. Fu Cosimo de’ Medici che convinse il papa Giovanni XXIII, durante lo scisma d’Occidente, a dimettersi per riparare allo scandalo di ben tre antipapi. Non è vero che fecero ciò solo per avere l’appalto della gestione delle entrate della Chiesa; è che i Medici condividevano la politica papale nell’Italia di quegli anni. Ad entrambi stavano a cuore e l’indipendenza degli stati italiani e l’indipendenza della Chiesa, entrambe minacciate e dalle grandi monarchie (Francia e Spagna) e dal pericolo turco.
Per la prima minaccia non va dimenticato che si era appena conclusa la cattività avignonese durante la quale per settant’anni i papi furono dei fantocci nelle mani del re di Francia, e per la seconda ricordiamo che Costantinopoli era appena caduta in mano ai turchi (1453) che avanzavano in Occidente. Per capire la complessità dell’epoca basti pensare che un grande numero di cristiani si erano arruolati volontariamente per combattere a fianco dei turchi contro gli stati italiani e i principi cristiani. E la curia romana fu la potenza che più di ogni altra cercò di arginare il “principale nemico della cristianità”. E in tutto questo i Medici non stavano a guardare!