Le speculazioni vengono a galla soprattutto quando falliscono. Finché stanno in piedi, hanno di che ungere tutti i livelli di controllo e di che distrarre tutti i circuiti e tutti gli ingannati, attuali e potenziali. Sembra essere questa l’amara conclusione de Il Denaro (L’Argent) di Emile Zola. Inoltre, il romanzo pure si inserirebbe nel Ciclo dei Rougon-Macquart, ma, in parte per la tematica e in parte per il materiale svolgimento della vicenda, sembra, come pochi altri titoli del Ciclo, mantenere una sua piena autonomia narrativa. Ci riesce, forse, il precedente e più drammatico L’Ammazzatoio e, anche lì, non sapremmo dire se l’autonomia concettuale del volume risieda nella sua vicenda o nelle sue tematiche. 



Il Denaro, tuttavia, preconizza, alla fine del XIX secolo, la costante di un’economia immateriale e predatoria che non ha ancora cambiato registro nella seconda decade del XXI. Aristide Saccard è la canaglia che orchestra la truffa; come molti farabutti, ha una sua creatività, una sua efficacia e, persino, una sua morale. Solo che questa morale è lo zampillio ingannevole del denaro. Nella Parigi pomposa di Napoleone III, la Parigi euforica dell’Esposizione universale, come negli uffici newyorchesi o nei resort dei paradisi fiscali odierni, la speculazione finanziaria ha bisogno di poche cose. Promettere qualcosa di meravigliosamente grande, turlupinare il ceto borghese, entusiasmare almeno per un po’, intestarsi la mondializzazione e la frantumazione simbolica di ogni confine. Il denaro non ha odore, non ha colore, non deve avere nazione. 



La banca universale cui pensa Saccard è simile alla Union Générale, storicamente esistita, di Paul Eugène Bontoux, ma, se si vuole essere onesti, Bontoux batte Siccard tanto in spregiudicatezza, quanto in vigliaccheria (i classici zenit e nadir di ogni antieroe). Bontoux prometteva, infatti, la magnificente creazione di una banca contro il capitalismo. Il capitalismo finanziario alimenta, più o meno consapevolmente, i progetti che nascono contro il suo nome, ma alle sue regole. Saccard abbindola la borghesia dinamica, la borghesia post-illuministica, la borghesia liberale. Bontoux quella cattolica e legittimista. Altra lezione: non c’è difesa dall’imbroglio del denaro facile. Bontoux canaglia dei suoi anni come e più del “povero” Saccard. Quando la sua truffa è bella che scoperta (proprio perché fallita), ecco che trova con chi prendersela: la finanza giudaica e israelita. È il giudeo, nella retorica tardo-ottocentesca, il morbo che avvelena ogni settore in cui metta le mani: dalla politica all’esercito, dalla finanza alla letteratura, dalla demografia alla democrazia.   



Zola non insegue redenzioni, né disegni salvifici e provvidenzialistici. Eppure, nella frotta di sommersi che lascia immiseriti sul campo la truffa di Saccard, c’è paradossalmente un salvato, un complice che molla il rifugio dei suoi raggiri e si apre (né contrito né imbelle) alla primavera parigina: la nobile e per più versi ambigua Madame Caroline. E forse il suo profilo rafforza la nostra convinzione. Non è una visione strumentale del denaro la nostra rovina, semmai la circostanza nella quale la promessa di denaro sia la cosa per cui siamo disposti a spendere più soldi.