Nel suo profilo biografico di Giulio Andreotti, Massimo Franco ha ricordato, tra l’altro, come Tina Anselmi (1927-2016), durante l’interrogatorio dell’11 novembre 1982 condotto nell’ambito dei lavori della commissione d’inchiesta sulla P2, gli chiese se fosse in realtà lui “il grande babbo” della loggia massonica.



La Anselmi era stata incaricata di presiedere la commissione parlamentare dall’altra “grande donna” in politica di quei tempi, operante sull’altra sponda partitica (quella del Pci), l’allora presidente della Camera Nilde Iotti, la quale aveva puntato su di lei per ricoprire un ruolo che richiedeva indubbiamente integrità morale e trasparenza. 



Andreotti nel lungo e sfibrante interrogatorio avrebbe risposto alla Anselmi di essere venuto a conoscenza della P2 solo negli ultimi anni, con il clamore che aveva accompagnato le recenti rivelazioni su di essa, e cioè comunque solo dopo la conclusione dei propri incarichi di governo. La relazione di maggioranza della commissione invece avrebbe concluso delineando la teoria delle “due piramidi”, quella politica e quella tipicamente piduista. 

Eppure proprio il contesto dell’esecutivo aveva legato le due figure — entrambe tra le più rappresentative della “Balena Bianca” in tutta la sua esistenza — perché proprio al “Divo” Giulio ella dovette la parte più importante della sua carriera politica da avanguardia femminile.



Era stato infatti Giulio Andreotti, al suo terzo governo, a nominare Tina Anselmi ministro del lavoro e della previdenza sociale, la prima donna in assoluto ad essere collocata alla guida di un dicastero della storia italiana. Nei governi Andreotti IV e V ella sarebbe stata ancora ministro della sanità, a riprova della fiducia assicuratele dall’uomo che, più tardi, proprio lei avrebbe additato come “mente occulta” della P2. Portarono così la sua firma due importanti innovazioni normative: la legge sulle pari opportunità del 1977, così come l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale del 1978.

Non sappiamo comunque con certezza ad oggi — né lo possiamo comunque escludere — se la poi celebre espressione della Anselmi “molti uomini della P2 passarono indenni”, fosse riferita pure al suo antico mentore governativo, però le due circostanze, quella di essere stata giudice morale dello stesso politico dal quale fu in precedenza nominata ministro, ci fanno comunque riflettere abbastanza.   

Quando Tina la “partigiana” fu nominata ministro dal premier “Belzebù” della politica nazionale, il britannico Times le dedicò la copertina, forse nel presagio che solo tre anni dopo anche Londra avrebbe avuto una ben più influente dominatrice femminile, Margaret Thatcher. Nell’articolo dell’autorevole tabloid britannico, il ministro Anselmi dichiarò di “non poter fallire”, non certo per superbia personale (e per onestà, ella non ne manifestò mai alcun sentore), ma per il ruolo simbolico che con il suo incarico aveva assunto in favore di una valorizzazione della donna nei ruoli di responsabilità istituzionale del nostro paese.

Fu quello il governo cosiddetto “di solidarietà nazionale”, pure definito “governo della non sfiducia”, realizzato grazie all’astensione del Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer durante la votazione in Parlamento per la fiducia. Furono allora Moro e Zaccagnini a spingere Andreotti verso l’attribuzione di un ministero ad una donna, e la Anselmi fu soprattutto contenta di ricoprire un dicastero “non femminile”, considerandolo come una prova di vera “pari opportunità” e soprattutto dignità.  

Si trattò di un governo che, con i due seguenti, ottenne indubbiamente risultati importanti proprio sul piano dell’impiego — il dicastero affidato inizialmente alla Anselmi — e che affrontò la crisi economica attraverso una rigorosa politica antinflazionistica, bloccando gli scatti di contingenza nei salari e contenendo il costo del lavoro (riducendo anche il numero dei giorni festivi): nella fase della Solidarietà nazionale, complessivamente l’inflazione scese dal 23 all’11,6 per cento, le ore di sciopero da 286 milioni nel primo semestre 1976 calarono a 154 milioni nello stesso periodo del 1979, il risparmio bancario crebbe di contro da 52mila a 90mila miliardi di lire.

Ma questi governi Andreotti di Solidarietà nazionale si segnalarono proprio per i risultati della lotta contro il terrorismo, allora appunto ai massimi livelli di allerta proprio con il caso Moro: fu allora infatti che venne creato il gruppo speciale antiterrorismo affidato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. 

Appare così ancor oggi assai singolare la logica delle traiettorie che incrociarono le esperienze politiche di due democristiani così “diversi” tra loro come Anselmi e Andreotti… in pochi anni, da elementi di una stessa squadra vincente, a giudice e giudicato. Quale sarà stato il rapporto più vero? Un caso esemplare in cui bisogna ancora dire “ai posteri l’ardua sentenza”.