Ieri erano vite rovinate, oggi paiono vite quasi ritrovate, in fase di restauro avanzata: mai dire mai. Le storie di chi ha compiuto un reato sono uno specchio rotto del nostro passaggio sulla terra. L’impresa più ardua, anche la più logica e misericordiosa, è quella di rimettere mano a questi specchi frantumatisi, a queste strade slabbrate, vite deragliate. Forse ai più pare persino impossibile, dunque tempo perso: “Non cambierà mai. Lasciatelo andare in malora!”. 



Eppure ci sono giorni nei quali l’arte del rammendo parrebbe l’occasione migliore per andare a conoscere le ragioni di un gesto, la genesi di un’efferatezza, per penetrare dietro quello strato di ferro-e-cemento — che sono sbarre, pregiudizi, paura — e incontrare coloro che la società ha imprigionato dentro magazzini di periferia, vitto e alloggio pagati in cambio del loro isolamento: “Il carcere l’ha inventato qualcuno che non c’era mai stato. E la prigione non salva nessuno” (Dal film Riso amaro). 



Ogni storia, però, è anche un volto, una traiettoria. Sono storie di peccato e d’arroganza, di menzogna, anche di false vedute. Di male: quello che è sempre una brutta e agitata faccenda. Poi, un giorno, capita che s’affacci un’apparizione: di senso, più che di fattezze religiose. Il fascino di un incontro, la percezione di un amore, l’inedito di un’opportunità: l’attrattiva di un Mistero che, nel fango della perdizione, osa far sbocciare una percentuale di bellezza dalla quale ripartire: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato!” (Lc 15,18). 



Per costoro, nel tempo, il resistere è diventato un re-esistere: ritrovare se stessi nel buio della notte, nel turbinio di una tempesta, nell’oceano della disperazione. Mai dire mai, dunque: i vagabondi, quelli che oggi stan dentro una cella, domani potranno diventare quello che non sono stati nel passato. D’ora innanzi, avranno il futuro davanti a sé, se vorranno.

Mai dire mai” è il titolo di un avvincente docufilm realizzato dal regista Andrea Salvadore per l’emittente televisiva TV2000. Il tempo è cinematografico, non televisivo, giacché certe storie — le care, vecchie storie di cronaca nera — non accetterebbero più d’essere trattate coi tempo del pettegolezzo: per chi ha l’ardire di calarsi negli abissi, fin quasi a sprofondarci dentro, servono granai di tempo, di pazienza, udito e sguardo allenati nell’aver prima giocato in-perdita. E’ anche questione di fegato, quando le storie possiedono dei nomi con relativi cognomi: Lorenzo, Meghi, Carlo, Armand-Davide, Raffaele, Enrico, Chakib, Milva, Kasem, Guido. Loro, oggi, abitano nell’inferno del carcere: “Sono stati uomini d’inferno, stanno bene a marcire lì dentro” dirà qualcuno, ascoltandoli dipanare, come fossero delle matasse, le loro storie drogate da mali inauditi: rapina a mano armata, furto con scasso, spaccio di droga, detenzione di stupefacenti, sequestro di persona. Omicidio. Chi riesce a credere, creda che mai-dire-mai: “Tutto meritato quel che andate dicendoci. Eppure c’è dell’altro”, sembrano dire nel mentre si confessano davanti alla camera come davanti ad uno uno specchio.  

E l’altro di cui accennano è materia sopraffine: ha il gusto della risurrezione, le sembianze di una casa restaurata, arreca alla memoria il gusto delle sfide impossibili che nella Scrittura Sacra fanno impazzire Dio: a proposito, sembra che Dio avesse una vera e propria predisposizione per le canaglie, sopratutto quando era urgente convertire i presunti salvati.

Tutto in linea, dunque: nell’Anno Straordinario della Misericordia, ancora storie di salvati ch’erano perduti, di disgraziati graziati. E’ per loro, i banditi che son banditi dalla società, il titolo: Mai dire mai della tua vita, nemmeno nelle sere di galera quando tutto pare perduto, smunto dal troppo patire, per il troppo patimento arrecato. Basterà una mano per riaccendere il fuoco: la brace, sotto, ripartirà. Mai dire mai, però, anche per chi li guarderà sullo schermo di mamma-tv: mai dire “A me queste cose non toccano minimamente”. Lo dicevano anche loro, lo pensavano in tanti di loro, lo pensano in troppi tutt’oggi: mai dire mai, il carcere è più vicino di quanto uno l’immagini. 

“L’ho cercato, anche voluto a tutti i costi questo docufilm — dice Paolo Ruffini, direttore di TV2000 — pur sapendo che il nostro pubblico potrebbe cambiare canale. Anche noi, però, dobbiamo rieducarci: non solo chi sta in carcere. Stavolta ci possono essere d’aiuto”. D’altronde, chi non soccombe rifiorisce: “E’ stato il più bel lavoro che abbia mai realizzato nella mia carriera. Certi giorni mi dicevo: La volta prossima potrei esserci io al posto loro” — commenta il regista, Andrea Salvadore, che con la sua troupe è rimasto un mese in pianta stabile nella galera del Due Palazzi di Padova e de La Giudecca di Venezia. L’intento era nobile: aprire le porte di storie-fantasma, prestare loro la voce, chiedendo in cambio la faccia: mica poco per chi, nel tempo, s’era abituato a starsene comodamente nascosto in cella.

Comunque vada, ne è valsa-la-pena: la porta, da quando esiste il mondo, è la parte più lunga di chi vuol iniziare un viaggio. “E come voi vorreste essere perdonati di ogni colpa, fate che io sia affrancato dalla vostra indulgenza” (W. Shakespeare). Ai temporali, qualcuno sopravvive. Per dire agli altri: è possibile.

 

Il docufilm “Mai dire mai” è una produzione Rete Blu, realizzata nel carcere maschile Due Palazzi di Padova e in quello femminile de La Giudecca di Venezia. Andrà in onda in due puntate di 100′ ciascuna: la prima il 6 novembre 2016 (ore 22.55), in occasione del Giubileo dei Carcerati, la seconda il 13 novembre 2016 (ore 22.55).