I critici letterari, gli studiosi di costume e gli storici dell’arte sono sempre stati in difficoltà con l’Impressionismo francese. Mentre il Romanticismo italiano si colloca con una certa agilità — e anche con la sua eccezionale originalità — nel solco del XIX secolo, l’Impressionismo della pittura transalpina è scivoloso, come tutti i movimenti che anticipano una crisi o che all’interno di una crisi nascono e crescono. Le innovazioni degli Impressionisti chiudono il XIX secolo o aprono il XX? Prefigurano alti e bassi del secolo breve o chiudono con fanfare e sciarade il secolo liberale e borghese che si accinge a morire? 



Le biografie dei personaggi non aiutano. Un caposcuola come Edgar Degas nasce negli anni Trenta dell’Ottocento — Napoleone sconfitto, Restaurazione protratta con successo: più ottocentesco di così non si può. E muore nel 1917: supera, da vivo, la Grande Guerra e arriva fino alla bocca degli anni Venti, che anticipa i totalitarismi dei due decenni successivi. 



Aggiungiamoci che non ha una storia da guerrafondaio ribelle, né da vizioso pelle e ossa che si aggira per le bettole di Parigi saltando da un letto all’altro. È un rivoluzionario razionalista nella pittura e un irrazionalista della malinconia nell’etica. Accoglie la svolta dell’Impressionismo che esce dall’Accademia per dipingere all’aperto, ma non gioca a fare il predicatore del piacere. È diaristico, immediato e concreto nei soggetti, quanto inafferrabile nella ricerca stilistica. 

Tutto passa dalla sua tavolozza, non si vergogna di incontrare la pittura dove per davvero gli viene incontro, nonostante le ballerine e le donne che si profumano siano i suoi temi preferiti, soprattutto dalla mezza età in poi (nessuna ombra di morbosità, i geniali nani che infiammano il Moulin Rouge gli sono piuttosto indifferenti). Il suo autoritratto del 1855 è quello di un giovanottone borghese, munito di basette e ciglia colme di pensieri. Già il “Ritratto di una giovane donna” (1867) è ben oltre le categorie degli eretici di mestiere e dei mestieranti dell’accademia: ritrae una giovane assorta, non bella, non svestita, non in pena (anche se il personaggio che ispira l’opera è probabilmente una nobildonna esiliata per motivi politici). 



Tre anni dopo l’Orchestra dell’Opera racconta perfettamente la strettoia in cui va infilandosi il XIX secolo: la sua borghesia culta che va a teatro e crede di fermare il tempo potrà anche applaudire le esecuzioni più raffinate, ma non ha lo sguardo abbastanza lungo per fermarsi ai dettagli degli orchestrali. Ai loro visi che raccontano le loro storie. Osservatore impareggiabile, invece, Degas. Il suo “Mercato del Cotone a New Orleans” del 1873, più che un olio su tela, sembra una fotografia. Così nitida che non c’è modello di telefono cellulare che possa farla uguale; così fedele che nemmeno la macchina del tempo ce la restituirebbe nello stesso modo.  

Ci sono anche venature socialiste, secondo taluni, ma non ci giureremmo. La verità è che gli artisti migliori si sono stancati di preconfezionarsi Arcadie nelle stamberghe e negli scannatoi, e scoprono che la plebe esiste e le consentono di diventare popolo, prima che i pifferai la trasformino in massa. Le stiratrici di Degas non vanno a riunioni sindacali, ma non stanno neanche ad ammiccare seducenti all’artista che si crede albatro. 

“La donna che si pettina” apre gli anni Novanta con l’artista che vede poco con la retina e sempre di più col cuore, è un capolavoro tale che le tinte pastello non impediscono all’osservatore di sentire le gocce d’acqua sul corpo della donna. 

Negli ultimi quindici anni della sua vita Degas non potrà quasi continuare a dipingere, per ragioni di età, salute, epoca e, forse, ispirazione. Ma il toccante “Paesaggio in riva al mare”, una vegetazione rapita dalla foschia tra luci tenui, sembra veramente il “nessun luogo” dove la mente dell’artista si ritira, quando il suo corpo gli resta attaccato addosso ben oltre la senilità. Ce lo immaginiamo vecchio in riva a quello stesso mare ripetere come un mantra un suo celebre aforisma. L’arte non è quello che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri. Mon Dieu!