Quello della ricerca della vita extraterrestre è uno degli argomenti che più spinge il grande pubblico ad avvicinarsi alle scienze. Spesso purtroppo tale avvicinamento è viziato da una visione di scienza come dispensatrice di risposte e da un approccio che cerca nelle risposte della scienza le conferme a ciò che i miti, i sogni, la fantascienza e la stessa riflessione filosofica avevano già immaginato. Il vizio risulta ancora peggiore allorquando (spesso) si interpretano i dati scientifici a partire da idee e soluzioni preconcette; per cui, ad esempio, basta l’annuncio di un possibile indizio della presenza di acqua su un pianeta che subito circola nei media la traduzione non autorizzata del termine “acqua” con quello di “vita”. 



A fronte di tutto questo, risalta ancor più il pregio di un libro come Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell’Universo (Cortina, 216) nel quale gli autori, il filosofo Giulio Giorello e il fisico Elio Sindoni, ripercorrono le tappe di una ricerca che ha attraversato i secoli mossa da interrogativi come: “ci sarà qualcuno che da lassù ci sta guardando?”; oppure, di fronte allo spettacolo del cielo stellato: “Tutto questo solo per noi?”.



Il testo documenta, in modo molto efficace e facilmente accessibile, come in tutte le epoche e in tutte le culture ci siano stati pensatori che hanno sostenuto, con diversi argomenti e con diversa passione, l’esistenza di forme di vita intelligente in altri sistemi solari e in altre galassie. Nell’antichità e nel Medio Evo sono state soltanto “pensate”; dopo il Seicento tutte le idee del genere sono state sottoposte al severo tribunale del metodo sperimentale; oggi le location candidate ad ospitare ET vengono direttamente “osservate”.

I due autori ci accompagnano alla scoperta di sostenitori e oppositori della vita intelligente nel cosmo attraverso ricostruzioni storiche e citazioni letterarie: alcune note, come quelle del Leopardi autore della Storia dell’astronomia; altre meno frequentate, come il Pascoli che ne “Il ciocco” scriveva: “Io guardo là dove biancheggia un denso/ sciame di mondi, quanti atomi a volo/ sono in un raggio: alla Galassia: e penso: / O Sole, eterno tu non sei – né solo!”.



Si inizia dai primi filosofi greci, con Anassimandro, che pensava a infiniti mondi come il nostro, al quale si contrapporrà poi l’autorità di Aristotele che nel trattato Del cielo sentenziava: “non possono esistere altri mondi”. 

In epoca medievale è la parola di Tommaso d’Aquino a stabilire che “viventi generabili aventi intelletto sono solo gli uomini”; mentre un secolo dopo il filosofo-scienziato Nicola di Oresme ammette che “Dio nella sua onnipotenza poteva creare altri mondi”. 

Il Rinascimento si apre con uno straordinario viaggio su un “altro mondo”, quello della Luna visitata da Astolfo per recuperare il senno di Orlando; ma prosegue poi assistendo alla vicenda di Giordano Bruno e alla sua tragica rivoluzione cosmologica che includeva l’esistenza di infiniti mondi. E mentre i padri della scienza moderna, Galileo, Keplero e Newton, mettono a punto la teoria che spiega il moto dei corpi celesti, noi possiamo seguire le mirabolanti prodezze di Cyrano di Bergerac e le sue vicissitudini tra i seleniti.

Il settecento anche in cosmologia è dominato dalla poderosa opera di Kant, che nella Storia universale della natura e teoria del cielo parla di “un mondo di mondi” offrendo a Giorello e Sindoni il suggerimento per il titolo del loro libro. Il prestigio del filosofo di Königsberg non sarà sufficiente per evitare le controversie che percorreranno l’Ottocento e avranno come epicentro principalmente l’Inghilterra vittoriana, dove da un lato è schierato il multiforme scienziato William Whewell, convinto che l’intervento di Dio nella storia del genere umano non sia conciliabile con l’esistenza di altri esseri intelligenti collocati al di fuori della Terra. Sul versante opposto si trovano il fisico David Brewster e l’astronomo Richard Proctor, che parla di “milioni e milioni di Soli che riempiono lo spazio e diversi milioni hanno pianeti che abitano intorno ad essi e in grado di ospitare, al momento attuale, delle creature viventi”. 

Curiosa è poi la disputa a distanza tra lo scienziato Flammarion e il letterato Jules Verne, dove le parti sono invertite: il rigore scientifico del primo non gli impedisce di ritenere abitato il nostro satellite mentre la fantasia del secondo non lo trattiene dal mettere sulla bocca dei giudici dell’impresa raccontata in Dalla Terra alla Luna, il secco verdetto: “la Luna non è abitata”.

Arriviamo così alle ricerche più recenti: alla nascita della astrobiologia, alle scoperte degli esopianeti e ai programmi come il Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence): lanciati, sospesi e poi ripresi e che non ci hanno fatto captare nessun segnale emesso da civiltà evolute sparse nella Galassia ma ci hanno costretto a interrogarci seriamente su cosa voglia dire vita e su quali siano i tratti distintivi del fenomeno “intelligenza” per poterla rintracciare nei nostri dintorni cosmici.

Non era obiettivo degli autori sostenere una tesi per il sì o per il no all’esistenza e all’incontrabilità di ET: saranno tuttavia molto preziose, per chi vorrà prendere posizione in merito, le analisi proposte negli ultimi capitoli, laddove ad esempio si documenta il carattere di “rarità” del pianeta Terra o dove si esamina la celebre equazione di Drake (per calcolare il numero di civiltà della nostra Galassia in grado di comunicare con noi) e si segnala la difficoltà (forse la impossibilità) di determinare tutti i parametri che vi compaiono.