Mentre il timer corre all’indietro verso il termine ultimo per gli acquisti di Natale, cresce l’ansia dei ritardatari e soprattutto di quella nicchia di esigenti che anche dalla “strennetta” presa all’ultimo momento pretendono un insight in grado di far luce almeno su un paio di questioni universali. Un po’ come quel paziente di Ernst Kris reso famoso da Jacques Lacan, che appena uscito dallo studio dello psicoanalista si aggirava alla ricerca di un locale che avesse nel menù del giorno delle “cervella fresche”, spinto dall’appetito — rimasto insoddisfatto dalla seduta — di qualche altra buona — anche nel senso di ghiotta — idea.
Al caso di questi incontentabili farebbe comodo il libro di Robert (Bob) A. Briner (1935-1999) dal titolo intrigante — ma forse non meno urticante per certe sensibilità teologiche, di quanto non lo siano per gli animalisti i riferimenti alle cervella fritte — Gesù come manager. Gli insegnamenti di Gesù per il business di oggi. Pubblicato vent’anni fa e affermatosi poi come long seller, il libro di Briner è l’ideale per l’epoca di Twitter. Con 144 pagine (comprese quelle finali per gli appunti del lettore) il libro fa pensare a un tweet più che a un saggio (noioso), dove in ogni pagina Briner distilla quanto di meglio ha imparato in quarant’anni di business, ai massimi livelli del suo settore, e dalla sua soddisfacente esperienza di cristiano evangelico.
Quando nel 1999 Robert Briner morì a soli 63 anni per un tumore all’addome, il New York Times gli dedicò un articolo commemorativo con un titolo assai lusinghiero: “Bob Briner, 63, Innovator in Tennis and Television”. Se solo si tiene conto che la categoria degli innovatori negli Usa sta appena più su di quella dei santi e delle divinità dell’olimpo, è possibile farsi un’idea del prestigio di cui Briner ha goduto in vita. Commentatore sportivo per il New York Times e Sports Illustrated, Briner è l’inventore dei moderni tornei internazionali di tennis con premi in denaro da cui nasceranno gli Open. Con Jack Kramer e il socio d’affari Donald Deel (ex capitano della squadra di Coppa Davis americana) ha fondato l’Association of Tennis Professionals (ATP). Pioniere del marketing sportivo e presidente della ProServ Television, Briner è stato, tra l’atro, anche direttore generale della squadra di basket Dallas Chaparrals, che divenne il San Antonio Spurs. Gli ultimi tre anni della sua vita, lasciate le cariche nelle diverse società da lui fondate, li ha trascorsi portando in giro i suoi 136 chili di peso per 193 centimetri d’altezza nelle chiese e nei campus universitari per parlare ai giovani dell'”affare Gesù”.
Un concetto molto vicino a quello del “centuplo quaggiù” di cui Briner avrebbe subito citato il passo evangelico (Matteo 19,27-29), e molto lontano dalla sensibilità europea dove la stessa parola affari è guardata con sospetto. Al massino ai più colti verrà in mente l'”affaire Dreyfus”, cioè lo scandalo giudiziario che sta agli albori dell’antisemitismo moderno. Un vero e proprio disastro, apripista di disastri ancor peggiori.
Amico ed estimatore di Warren Buffett, che nel 2008 era l’uomo più ricco del mondo, Briner gli dedica un cameo nel capito intitolato “Evitate la spettacolarità”, creando un parallelismo nientemeno che con Gesù: “A Gesù fu sempre chiesto di compiere imprese spettacolari. Satana lo tentò con tenacia in questo senso e i farisei insistettero perché lui provocasse ‘un segno nel cielo’ per provare la sua natura divina, ma Gesù non cedette mai alla tentazione”. Ecco il punto: “Io conosco un investitore la cui regola è: se vedete un alto dirigente su ‘Lifestyles of the Rich and Famous’, non comprate i suoi titoli. Donald Trump è un maestro dello stile spettacolare, con le sue entrate sensazionali, sempre fotografato sui giornali, mentre io credo che la maggior parte degli americani non riconoscerebbero Warren Buffett se lo incontrassero faccia a faccia (…). Non è un tipo spettacolare, lui”. Buffet è, con la Bill & Melinda Gates Foundation, alla quale ha destinato oltre l’80 per cento della sua fortuna miliardaria, tra i maggiori filantropi viventi.
A chi invece si pasce dell’immagine di un Gesù stile hippy, spontaneo e approssimativo, Briner contrappone l’importanza di progettare: “Gesù aveva un progetto e lo rispettò sempre. Questa è la ragione principale del suo successo. (…) Nulla lo scoraggiò. Sapendo che il suo progetto doveva giungere a compimento a Gerusalemme, e che là gli sarebbe stato chiesto il sacrificio finale, la raggiunse con il viso duro come la pietra, dicono le Scritture (Isaia 50, 7). Gesù era determinato”. A chi poi fosse sfuggito che quella di Gesù nei confronti dei farisei era un’Opa ostile, Briner ricorda che Gesù mandò “settanta discepoli ad annunciare il regno di Dio” in tutti i villaggi della Galilea, allarmando i farisei più di quanto Vivendi non stia allarmando oggi Mediaset.
Ma il messaggio più forte che Bob Briner ha voluto lasciare in questo piccolo libro “a prescindere da ogni contesto mistico e spirituale” è che “Gesù ha avuto l’idea giusta per le nostre vite e per in nostri affari”. Un Gesù pensatore, lontano dall’ideale di algoritmo religioso predisposto dall’eternità, che ricompone la falsa alternativa di sempre: o la borsa o la vita.