È un’attesa elettrizzante quella che sempre si rinnova a Milano quando la Scala inaugura, il 7 dicembre, la sua nuova stagione lirica.
Quest’anno tuttavia la città si pregia di celebrare un’altra “prima” che non può certo passare sotto silenzio, perché risuona anch’essa di un’armonia davvero singolare: dal 6 dicembre all’8 gennaio infatti, la Sala Alessi di Palazzo Marino, proprio dirimpetto alla Scala, ospita uno dei massimi capolavori del nostro Rinascimento: la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca giunta da Sansepolcro, città che diede i natali al grande maestro.
Si colloca, l’evento, in quella che rappresenta “ormai una felice e attesa consuetudine”: il Comune di Milano apre ogni anno le porte, in occasione delle festività natalizie, ad un’opera selezionata tra le più significative per valore artistico e simbolico del nostro patrimonio nazionale e non solo.
Dopo aver soggiornato per circa quattro mesi (dal febbraio al giugno scorsi) presso i musei San Domenico di Forlì, ecco che lo scomparto centrale del polittico della Misericordia — realizzato da Piero per la Confraternita della Misericordia di Sansepolcro tra il 1445 e il 1462 — varca solennemente i confini di Milano per coronare, anche a livello iconografico, la conclusione dell’Anno Giubilare della Misericordia. “Apre il gran manto azzurro […] formandone ad un tempo, un padiglione amplissimo a contenere i devoti e a proteggerli”: così ce la presenta il Longhi nel suo Da Cimabue a Morandi, per I Meridiani di Mondadori (1973).
Che emozione dunque mettersi in fila al fianco di altri cittadini — pochi istanti prima estranei e distanti, poi d’improvviso prossimi e familiari — a percorrere l’ultimo breve tratto che ancora si frappone tra sé e il capolavoro… Si chiude, il pesante tendone, alle nostre spalle e una semioscurità ci avvolge come a favorire il passaggio, programmato in tre successive sequenze, dall’ombra alla luce così che l’occhio e la mente possano prepararsi a contemplare finalmente l’opera. Una struttura agile ed essenziale offre ai visitatori, dapprima a distanza e poi da uno spazio ravvicinato, la suggestiva visione della Madonna nella sua purezza rigorosa e severa.
Una musica d’epoca trecentesca, sostiene e accompagna lo sguardo di quanti, più pellegrini ormai che semplici visitatori, vengono catturati dal fascino misterioso di questa cattedrale dell’umana pietà.
Non è “bella” la Madonna di Piero, eppure qualcosa di lei ci attrae e ci commuove: con autorità Maria quasi ci impone di pregarla, e tuttavia l’impenetrabile compostezza della persona esalta in lei la virtù della modestia. E’ proprio tale virtù che, mentre accende di regale sovranità l’ovale del volto, lascia nel contempo trasparire una compunzione raccolta e consapevole.
Quanto sono minuscoli allora quegli uomini inginocchiati, protesi all’unisono nel gesto della domanda. Nessuna rigidezza immobilizza la statuaria nobiltà di questa gente che appare come la vera corona di Maria, Regina della pace. Ed è pacificante infatti questo segreto dialogo tra la Madonna e i devoti sorpresi ciascuno nell’atto del domandare. Qualcosa di grave sottende l’espressione dei loro volti tutti assorbiti dalla solenne maestà della Madonna. Traluce negli sguardi un interrogarsi stupito, uno struggimento pungente, un’insistenza di attesa sulla quale s’innesta timida, ma già radicata, la certezza di venire esauditi e corrisposti. Occhi e mani gridano la millenaria pazienza e il confidente abbandono della fede.
Solida e possente nella corporatura, adulta e insieme bambina nell’espressione, superba fattrice e madre feconda, Maria sta siccome torre in solitario campo. Piero realizza in lei una fusione perfetta di grandezza e di umiltà, di sottile ritrosia e di tenera caparbietà.
Non si sottrae Maria all’oneroso giogo della propria regalità: lo abbraccia piuttosto, rendendolo forma stessa di quella santità che dall’origine l’ha preferita e scelta.