E’ un romanzo suggestivo — l’ultimo di Marco Pozza — che ha i ritmi sostenuti delle partenze e delle soste impreviste, delle lunghe fermate, delle improvvise accelerazioni: “Spegnere per riaccendere, fermarsi per ripartire, morire per vivere: la vita è il rendez-vous degli ossimori”. Il pomeriggio della luna (Aracne, 2016) è un viaggio di sola andata, a bordo di un treno: tutto quello che deve fare il lettore è prendere posto e godersi il viaggio. Perché tutto il romanzo — una storia ordinaria, una narrazione sociale — è un filo rosso che scompiglia il cuore del lettore, costringendolo a riflettere intimamente sull’importanza del cercare e del trovare la luce dentro le stanze buie del fallimento, un punto di partenza sul quale far leva per dipanare la matassa della propria esistenza, che è sempre una matassa ingarbugliata: per fare ordine, a dar retta all’autore, sembra sia necessario fare prima disordine.



Elio Arnaboldi e Luna Mielantoni sono due ragazzi poco più che adolescenti, ritratti nell’attimo esatto nel quale la vita spicca il volo: dall’ansia per l’esame di maturità passano presto alla trepidazione per la miriade di sfumature che la vita pone loro innanzi. Quella che l’autore mette in circolo è una storia, forse la sua storia: per fare poi in modo che possa divenire anche la storia del lettore, con il suo sentire, la sua capacità di guardare il mondo. La storia, in grande, dell’uomo che — abitandola — la scrive. Una penna, quella dell’autore, capace di incidere e scolpire la “vita” anche nei cuori più ciechi, quelli che rischiano di perdersi l’appuntamento con la bellezza. 



La sua è una sorta di prosa del quotidiano, che tenta di fare diventare poesia — nel senso primigenio di “creazione” — la vita feriale. In questo intreccio di storie, infatti, è possibile intravedere i fili di un’epica del quotidiano che ci riguarda tutti, giovani e meno giovani. La storia tra Elio e Luna può diventare, allora, lo specchio attraverso il quale ciascuno può vedere riflesso un frammento del proprio volto: ad ogni faccia corrisponde una storia, un tempo, un incontro. Ad ogni storia, almeno una volta, è capitato di sentirsi interpellata e resa viva da quell’amore che mai si stanca di volgere il suo appello a chiunque incontri per strada.



Elio, il classico figlio-di-papà, il carisma ce l’ha inscritto nel nome: è bello come il sole. L’ossessione per la perfezione, unita ad un mai celato orgoglio d’appartenenza sociale, nel suo ambiente, gli hanno cucito addosso la stoffa del leader. Negli anni del liceo Catullo, ad ogni suo passaggio c’è un’orda di oche che, catturate dal suo fascino, fa la ola. Luna, invece, della luna ha il nome proprio, la dignità dello splendore. Della sua semplicità ne ha fatto motivo d’orgoglio: la luna non si cura dell’abbaiare dei cani. Loro abbaiano, lei continua a splendere. Non ne spengono la bellezza nemmeno gli sfottò del sarcastico trio, quello degli amici di Elio. 

Dall’incontro tra questi due protagonisti non scaturisce solo una storia d’amore, ma il desiderio d’essere un uomo e una donna più veri. E’ la realtà che entra nei sogni di Elio, sono i sogni che entrano nella realtà di Luna: “La luna, di pomeriggio, non è una fesseria”. Per impararlo, però, sarà necessario che il filo che li lega debba, per un complemento di tempo determinato, spezzarsi: si mostrerà necessario, oltreché salvifico, entrare nell’oscurità di mille gallerie — come il treno che sfreccia veloce verso Sud — per apprezzare nuovamente la luce. Perché s’impari a poggiare lo sguardo sulla vita mentre sboccia, quando è ancora fragile la sua pelle, incerto il suo avvenire. E’ questo il momento nel quale la vita ha più bisogno di essere guardata. E’ la luna-di-pomeriggio: il tempo nel quale tutti si voltano per guardare il sole, è il momento più favorevole per contemplare la luna con ammirazione e delicatezza, perché non sa ancora se stasera riuscirà ad accendersi, a brillare.

La luna-di-pomeriggio è anche la storia dell’uomo nell’attimo del fallimento: “Amare l’uomo quando meno se lo merita è rimettere mano a strade scomparse dalle mappe”. E’ il vero guadagno di ciascuna delle storie che si ha la pazienza di ricucire: “Quando l’uomo è amato per quello che è, scorderà le scorciatoie: terrà se stesso in suo potere. Farà fiorire quel capolavoro che, magari solo di sfuggita, a qualcuno è dato di cogliere appieno”.

Un’eclissi — il sole che abbraccia la luna — è l’apice del romanzo: sarà il trovarsi senza essersi cercati, un perdonarsi che consentirà alla vita di alzarsi in volo. Di ricordare che, forse, la luce non si era mai spenta del tutto: nella lingua italiana il verbo “splendere” non ha nessuna forma di participio passato. E’ un eterno presente: “Luna di pomeriggio è la più bella frase mai scritta in italiano”.