Vista dalle stanze del mondo laico e secolare la ricorrenza religiosa del mercoledì delle “ceneri” pare facilmente rinviabile ad una lontana economia della penitenza della quale si è smarrita la memoria e si è perso il senso. La proposta del digiuno, con il suo inevitabile momento di convivialità mancata, è apparsa per diversi decenni come una vera e propria provocazione rispetto a quella dimensione della ricerca di benessere così centrale nella modernità contemporanea. L’astensione dalla carne e il digiunare sono stati a lungo facilmente rinviati alle categorie di un integralismo religioso votato alla contrizione; tanto meno accettabile quanto più contrapposto alla logica che pone come criterio di qualità la capacità di cogliere l’attimo, di prendersi il poco o il tanto di piacere che la vita — così breve e circoscritta — riesce ad offrirci.
Il giorno del mercoledì delle “ceneri” nella tradizione religiosa cattolica segna così la distanza più radicale tra la Chiesa e il mondo moderno caratterizzato dalla “euforia perpetua”. Infatti, al di là dei conflitti tra Chiesa e Stato, al di là della cultura positivista e di tutte le componenti culturali che hanno ingenerato distanze crescenti tra la dimensione religiosa e la vita quotidiana così come era possibile coglierla e valorizzarla, è proprio nella dimensione della penitenza, così com’è rappresentata emblematicamente nel giorno del mercoledì delle “ceneri”, che si registra il divario più profondo, lo scarto più evidente con la società moderna, così come generalmente la si considera e la si percepisce.
Ciò spiega perché sia stato proprio nella società euforica degli anni sessanta del secolo scorso, nella costituenda società del consumo e del tempo libero propria degli anni del boom economico, che si è registrata in Italia la prima chiara crisi della pratica religiosa. È proprio in questo periodo che accanto al declino di una società artigiana e contadina fondata sul lavoro e sul risparmio sia stata la stessa dimensione della religiosità – vista e ridotta in chiave meramente rinunciataria e penitenziale – ad avere imboccato la via del tramonto, finendo così più con il caratterizzare il passato che non con l’occupare il presente.
Ovviamente è proprio tra le giovani generazioni che un tale divorzio si è segnalato in maniera eclatante. Nella costituenda società dei consumi e del tempo libero nulla è sembrato essere meno attraente di una dimensione religiosa coincidente con una sostanziale rinuncia alla pienezza della vita, alla sua sconfinata e indicibile pretesa di gioia.
Quanto resta oggi di questa radicale differenza, così nota e diffusa nel passato recente? Quanto è ancora visibile quella che appariva, all’epoca, come una profonda e definitiva divaricazione tra Chiesa e società moderna? Tra memoria di un evento in sé drammatico e la rimozione di ogni memoria e di ogni tragedia: due elementi costitutivi della modernità euforica.
Non c’è dubbio di quanto oggi siamo distanti da una simile epoca. Negli ultimi cinquant’anni a venir meno non è stato solo il mito del progresso, né la possibilità di continuare a garantire i benefici del sistema di protezione sociale nel quale questa stessa società dello sviluppo permanente ha visto la luce e si è stabilizzata. Accanto a questi elementi si sono venuti rendendo critici molti sistemi relazionali un tempo dati per scontati: dalle relazioni di coppia a quelle genitori/figli, dalle relazioni scuola/famiglia all’erodersi dello stesso legame sociale.
Alla luce dell’esperienza collettiva degli ultimi decenni sembra allora essere proprio l’euforia ad aver perso importanza. Fuori dalle industrie del divertimento ad ogni costo, lontano dai mille barnum mediatici, a prendere spazio sembra essere la dimensione interiore, il guardarsi dentro, l’incontrare gli altri nella cornice dell’attenzione, di quel “come stai?” che allieta l’esistenza.
Il digiuno che dà inizio alla Quaresima sembra allora essere sempre meno una rinuncia all’euforia, un fare a meno di qualcosa. Un ripiego verso un’inflessione dolente dell’esistenza che peraltro, mai come oggi, appare così manifesta. Ci sono spazi per pensarlo come un momento nel quale si può fare strada quel “di più” che invece viene lasciato nell’ombra. È il “di più” degli altri colti e incontrati dentro la relazione significativa. Dietro la provocazione del digiuno c’è l’appuntamento con gli altri e con se stessi intorno a ciò che appare importante, a ciò che orienta la vita e le dà direzione e contenuto.