Può sembrare strano, ma conoscere le vicende di certe osterie o certi locali notturni milanesi negli anni 50 e 60 è utilissimo per chiunque voglia farsi un’idea di che razza di risorsa sia la cultura dell’incontro per tutti e in particolare per i giovani.
I locali si chiamavano Aretusa, Santa Tecla, Lanternin, Cab 64, Derby Club. Quest’ultimo è il più famoso, perché è stato, soprattutto sotto la guida di Enzo Jannacci, il laboratorio creativo e il trampolino di lancio di artisti del calibro di Cochi e Renato, Felice Andreasi, Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Bruno Lauzi, I Gufi, i Gatti di Vicolo Miracoli, e poi di Massimo Boldi, Teo Teocoli, Diego Abatantuono, Giorgio Faletti, per fare solo alcuni dei nomi notissimi al grande pubblico grazie al successo che poi hanno avuto in tv e nel cinema. Il Derby ha tenuto a battesimo il cabaret italiano e ha covato fino a maturazione quella nuova peculiare comicità milanese che non è solo arte della risata ma insieme teatro, canzone, mimo, tradizione popolare e invenzione linguistica. Due giovani intelligenti come Francesco Carrà e Marcello Zuccotti hanno capito che la materia non è roba da nostalgici o da patiti, ma argomento appassionante per chi ha voglia di capire e vivere oggi e ci hanno fatto un libro, Come nascono i comici. Dal Derby allo Zelig 60 anni da ridere, Haze – Hans e Alice Zevi Editore, 192 pp., euro 20).
Perché “cultura dell’incontro” è presto detto: perché in quegli anni “artisti, scrittori, musicisti, romantici balordi e intellettuali amavano far tardi nelle osterie mettendo in circolo idee originali e sperimentazioni lessicali” (pag.7). Il bello è che in queste osterie ci andavano anche dei giovani desiderosi di mettere i campo la loro voglia di conoscere, di farsi conoscere e di crescere.
Il Derby nasce nel ’59 dall’amicizia tra un giovane ristoratore vulcanico e un giovane jazzista d’avanguardia. Il primo è il Gianni Bongiovanni, l’altro l’Enrico Intra (da bravi milanesi, esigono l’articolo davanti al loro nome). La location è il seminterrato di Via Monterosa 84, zona San Siro; la denominazione è Intra’s Derby Club; per sistemarlo si coinvolge l’amico architetto Castiglioni, per lanciarlo l’altro amico designer Bruno Munari, i personaggi che lo animano sono giovani musicisti di enorme talento come Gill Cuppini, Franco Cerri, Pupo De Luca: questi ultimi capaci di raccontare storielle strampalate e barzellette per catturare l’attenzione del pubblico non ancora “educato” al jazz che senza complimenti poteva mettersi a mangiare e chiacchierare invece che ascoltare.
Locali come il Derby non erano teatri con le poltroncine fisse, il palco e il sipario: pedana a dieci centimetri dal pubblico, sedie normali e tavoli. Pian piano il locale si fa una fama, ospita esibizioni di gente famosa come la Vanoni, insieme ai jazzisti italiani suonano mostri sacri come Chet Baker, Gerry Mulligan, Dexter Gordon, si vedono sempre più spesso scrittori com Luciano Bianciardi e Umberto Eco, giornalisti come Beppe Viola (cronista sportivo amicissimo di Jannacci che, per dire il tipo, fece — allora! — un’intervista a Rivera sul tram e mandò in onda alla Domenica Sportiva un bel Milan-Inter… però dell’anno precedente, per non tediare il pubblico con le immagini di un penoso zero a zero senza gioco.
Quando Intra mise su un proprio locale, arrivò come direttore Enzo Jannacci, il geniale medico-artista scoperto da Dario Fo, che scopre Cochi e Renato che si esibivano al Cab 64 di Tinin e Velia Mantegazza, lui scrittore, pittore, gallerista, lei attrice, animatrice dei Pupazzi (tipo Topo Gigio), regista: Ponzoni e Pozzetto avevano 22-23 anni… A due ragazzi così, capitava di poter cantare ed esibirsi e conoscere per esempio Mimmo Cascella, che alle due di notte li portava a casa sua a vedere le ultime opere e farsi una spaghettata insieme. “Milano era mescolatissima”, sintetizza Renato (pag. 82). Jannacci gira l’Italia e porta al Derby Andreasi da Torino, Lauzi da Genova, Toffolo da Venezia. Tutta questa gente che amava il teatro, la musica, jazz e l’arte, e aveva lo spirito goliardico di giovani liberi e frequentava intellettuali, inventò un cabaret che metteva al centro della scena e della città il mondo della periferia, le figure e le storie apparentemente balorde e stralunate e schizzate di personaggi che il boom aveva lasciato marginali e disadattati, ma che testimoniavano una propria dignità non dovuta al successo e non succube del potere. E’ un’esplosione creativa, un’apparente non-sense che sfonda i conformismi, le convenzioni sociali, i pietismi pelosi, i moralismi ipocriti, i luoghi comuni.
Fattore di forza del “Gruppo Motore” (così si chiamavano) del Derby, era l’amicizia, la voglia di stare insieme, divertirsi e condividere idee e… anche la minestra. Andreasi e Lauzi, quando venivano al Derby da Torino o da Genova, dormivano a casa di Cochi e la mamma (vedova) faceva loro da mangiare. Toffolo, che arrivava da Venezia, era più spesso a casa di Pozzetto. “Eravamo un gruppo molto coeso, molto unito”, ricorda Cochi, “facevamo cose corali” (pag. 63). E Renato: “Tante idee nascevano insieme perché eravamo un gruppo di amici”.
Il Derby proseguì con una seconda ondata, negli anni 70-80, poi chiuse perché… Secondo lo scrittore Giorgio Faletti, protagonista del Derby di quegli anni con Teocoli, Abatantuono, Boldi, Porcaro, “chi ci ha preceduto, artisti come Cochi e Renato e Andreasi ecc. venivano da una Milano in cui c’erano una felicità e una facilità di vivere che noi non avevamo conosciuto”.
E che invece, appunto, è bene conoscere.