Ci sono avvenimenti che naturalmente si accoppiano anche se nulla hanno a che fare l’uno con l’altro. Un recente convegno organizzato da Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) avente come tema: “Rebalancing the Eurozone. Towards a New Economy Future” mi ha fatto riflettere sulla situazione europea in seguito alle numerose tempeste finanziarie degli ultimi anni. Dalla crisi della Grecia alle polemiche sugli aiuti alle banche nei diversi Paesi.
Ed era anche un momento per capire in che direzione vogliamo andare. La cosa che mi ha colpito subito sono stati gli acronimi. Ecfin (Economic and Financial Affairs), Srb (Single Resolution Board), Esm (European Stability Mechanism), Econ. Tutti organismi preposti al governo economico finanziario del Vecchio Continente. Gli interventi dei vari relatori (Rolf Strauch, Joanne Kellermann, Roberto Gualtieri e Marco Buti), seppur di grande interesse e lucidità, lasciavano un percepito negativo dell’acronimo dietro il quale si nascondevano. Quello di un’Europa delle istituzioni rispetto a quella dei popoli.
E questo feeling, dopo circa 45 minuti di dibattito, è stato espresso perfettamente dall’intervento di Romano Prodi. “La sensazione che si percepisce da quanto ascoltato — ha detto l’ex presidente della Commissione europea — è che non sia così evidente il disegno comune che sta sullo sfondo. E tutti gli acronimi che abbiamo sentito finora alimentano questo pensiero. Non voglio dire che le misure adottate per affrontare le singole situazioni non siano state adeguate. Anzi. Sono state, probabilmente, la risposta giusta. Ma la percezione della gente è di disorientamento. Di non comprensione. E soprattutto i cittadini europei non capiscono quale sia la visione generale. La reazione differente della Commissione europea rispetto, ad esempio, al sostegno alle banche dato nei diversi Paesi, ha generato delle perplessità”.
E ancora: “L’Europa deve capire che non si può curare la polmonite e il mal di schiena con la stessa medicina! Benché le due malattie riguardino parti del corpo vicine, non è pensabile trattare i due pazienti nello stesso modo! Il rispetto delle regole è fondamentale, ma forse si dovrebbe avere più consapevolezza e rispetto della peculiarità delle situazioni”. In poche parole, l’ex presidente della Commissione europea e del Consiglio italiano sapeva interpretare quel vissuto di distacco dalle istituzioni centrali che la gente comune ha più volte manifestato negli ultimi mesi.
“La crisi dell’Eurozona ha accelerato quel processo di allontanamento dell’opinione pubblica dalle istituzioni europee che — ha sostenuto Romano Prodi — è iniziato con l’esito negativo dei referendum sul Trattato Costituzionale nel 2005. Per questo — ha continuato l’ex premier — non ritengo che il superamento della crisi economica possa da solo ridare vigore al processo di integrazione. Senza una più profonda volontà politica l’Ue non potrà affrontare efficacemente i nuovi temi che mettono a repentaglio la sua tenuta, a partire dall’immigrazione e dalla lotta alla disoccupazione”.
Sono uscita dal convegno con la speranza che ci fosse ancora margine per un’Europa delle idee e dei valori, al posto di quella delle regole. Il giorno dopo, e qui veniamo al secondo avvenimento, ero in piscina ad aspettare che mia figlia finisse la sua ora di nuoto. Stavo leggendo un libro. Accanto a me un papà che, al telefono, rimproverava la nonna (sua madre) perché nella programmazione delle vacanze di Pasqua non aveva considerato i giorni di chiusura della scuola dei nipoti. “Mamma, come è possibile che ogni anno non ti ricordi delle vacanze dei bimbi a Pasqua? Sono a casa per una settimana. È così tutti gli anni. Comunque, se proprio vuoi, puoi prendere anche due settimane. In qualche modo ci organizzeremo”.
Ho avvertito un certo disagio. Quello di una generazione che da sola non riesce ad essere autonoma e che, senza i nonni, si sente persa. Che pensa di non farcela. O che forse, non ci prova. E mi è sembrato che in quelle poche parole rubate, ci fosse la fotografia di un Paese, l’Italia, dotato di straordinarie potenzialità ma che vive in una situazione di confort. Si potrebbe andare molto meglio, ma in fondo, perché fare più fatica? Potremmo farcela da soli, potremmo ripartire con slancio, come la generazione del secondo dopoguerra che ha portato al boom economico. Ma tante volte, troppe forse, aspettiamo o ci appoggiamo alle nostre sicurezze invece di credere nel futuro. E in noi stessi. Ecco, in un attimo mi sono resa conto di aver avuto l’opportunità di scattare due istantanee a distanza di poche ore. Una dell’Europa e una dell’Italia. Di due mondi che devono cambiare per continuare ad essere realtà centrali della vita di domani. In entrambi i casi è una questione di fiducia. E di visione.