Non capita spesso di leggere nei romanzi ampie citazioni in latino. Bruce Marshall (1898-1987) invece ne usa parecchie nel suo Il mondo, la carne e padre Smith, titolo italiano poco indovinato, senza alcun riferimento all’originale All glorious within. Sarà perché il libro è stato scritto nel 1944, molto prima che la riforma voluta dal Concilio Vaticano II introducesse nella liturgia le lingue correntemente parlate e, per il beneficio di una maggiore comprensione rinunciasse a espressioni di una bellezza carica di secoli. Fatto sta che la vita di padre Smith, prete scozzese della prima metà del Novecento, è piena non solo di impegni pastorali, ma anche di preghiera e la sua memoria va alle espressioni latine del breviario. In questo modo si possono leggere versetti di salmi, orazioni, citazioni bibliche in quel latino ecclesiastico facile a comprendersi anche dai semplici, perché è scritto proprio per loro e non solo per i sapienti.



Ma questo non è l’elogio di una scrittura scorrevole, che mescola con naturalezza l’inglese, il francese, l’italiano e il latino. E’ piuttosto la sorpresa per la leggerezza con cui è raccontata la vita di alcune parrocchie cattoliche scozzesi in una città in prevalenza presbiteriana, senza fantasia e piuttosto arcigna. E’ anche l’apprezzamento del sorridente umorismo con cui la dottrina della Chiesa viene spiegata ai fedeli, spunta nelle conversazioni tra preti e più spesso nei pensieri di padre Smith. Forse la freschezza degli episodi e dei personaggi dipende dal fatto che l’autore è un convertito alla Chiesa cattolica e la ammira come un bambino la sua mamma. L’umorismo di padre Smith non è un espediente retorico, piuttosto sembra legato al suo sguardo poetico sulle cose, a un candore consapevole della realtà molte volte triste della vita.



Tutta la gloria dentro. Così la traduzione letterale del titolo. Ma non è che la trascrizione di un salmo: “Omnis gloria filiae regis ab intus”: l’espressione indica la Chiesa, la cui bellezza viene dall’interno, dal cuore nuovo donato a lei dal Signore.

Un episodio tra tanti, a poche pagine dall’inizio della storia. Padre Smith viene chiamato al capezzale di un vecchio marinaio morente e si precipita nella pensione che lo ospita, un luogo piuttosto dubbio in fatto di moralità, “ma pure non esitava a portarvi il Corpo di Cristo, perché i veri peccatori sanno sempre rispettare il Signore e perché il Signore stesso, quando era sulla terra, era sceso ancor più in basso”. Entrato nella camera del morente, gli è subito chiaro come egli non sia più praticante da anni, nonostante racconti di aver recitato tutte le sere l’Ave Maria. Ma soprattutto il vecchio gli confida di aver conosciuto tante donne in giro per il mondo e che le avrebbe volute conoscere un’altra volta, se ne avesse avuta l’occasione. Padre Smith gli replica che non conviene ricordare tutto ciò in punto di morte; meglio pentirsi alla svelta dei propri peccati. 



“Ma quello rispose che mentre si pentiva s’aver lasciato così spesso i Sacramenti e di non aver amato di più Dio, non si pentiva affatto d’aver conosciuto tutte quelle donne, perché erano state tutte così belle e alcune anche tanto buone. Disperato, il padre Smith gli chiese allora se si pentiva di non pentirsi d’aver conosciuto tutte quelle donne, e il marinaio rispose di sì, che si pentiva di non pentirsi e sperava che Dio l’avrebbe capito. Padre Smith disse che credeva anche lui che Dio l’avrebbe capito, e dette al vecchio marinaio l’assoluzione dei suoi peccati, versando i meriti della passione di Cristo sul suo oblio del Signore e su quei vestiti di tanto tempo fa che avevano fatto un fruscio così bello”.