LIPSIA — Quello che ha scritto Giuseppe Reguzzoni in un recente articolo sul pensatore tedesco Ernst Jünger è degno di essere pensato ed approfondito. In primo luogo l’intuizione di fondo: “il nichilismo può essere superato solo se attraversato e non semplicemente ignorato o condannato”. Questa idea di “superamento” corrisponde all’idea di fondo di uno dei più grandi pensatori latinoamericani del ventesimo secolo, Alberto Methol Ferré, presentato al pubblico italiano in una lunga conversazione con Alver Metalli (Il papa e il filosofo, Siena 2014). Ogni errore ed ogni posizione del nemico contiene un “momento di verità”, dice il pensatore latino americano, consulente della conferenza episcopale latinoamericana, scomparso nel 2009; senza comprendere questo “momento di verità” non è possibile superare la posizione che si vuole criticare. Reguzzoni specifica che “attraversare” non significa “necessariamente condividere”, attraversare è insomma una forma del “superamento”. 



Il pensiero da Reguzzoni è acuto, ma non mi era del tutto chiaro se esso davvero fosse verificabile concretamente in Ernst Jünger. La sua conversione tarda è certamente un grido che va preso sul serio ed alcuni sue idee mi hanno sempre aiutato a riflette in profondità su alcuni momenti della nostra esistenza storica. Per esempio la sua critica all’idea di “guerra di difesa” formulata in Der Arbeiter: “uno che conosce solo guerre di difesa non conosce per nulla la guerra perché egli in forza della sua natura è escluso da quegli elementi propri della guerra: coraggio, forza, baldanza (…) ed è incapace di evitare che nell’ordine delle cose entri la guerra”. 



Ma questo eroismo del coraggio, della forza e della baldanza è davvero una soluzione proponibile oggi? E se sì, per chi lo è?  Ha compiuto il suo 85 anno un altro filosofo tedesco, Ferdinand Ulrich, che secondo me, è forse la mente più chiara e profonda del pensiero filosofico del ventesimo secolo, anche se conosciuto solo in alcuni ambiti e quindi decisamente meno famoso di Jünger. In quest’uomo, amico intimo di Hans Urs von Balthasar (1905-1988), siamo confrontati con un eroismo mariano, con l’eroismo quotidiano di quella giovane ragazza che nel segreto di Nazareth dice sì all’avvenimento più grande della storia e del cosmo: l’incarnazione di Dio nella “forma di schiavo”. 



La sua più grande opera risale al 1961: Homo abyssus. Das Wagnis der Seinefrage (“Homo abyssus. Il rischio della domanda sull’essere”). Di quale rischio si sta parlando? Quello del “medesimo uso delle parole essere e nulla”. Il nichilismo può essere superato solo se attraversato e non semplicemente ignorato o condannato, si diceva. Nella formula ontologica di Ulrich viene mostrato un metodo di attraversamento e superamento del nichilismo. 

Il filosofo tedesco offre la chiave ultima di interpretazione dell’essere stesso. L’essere finito non è “qualcosa”, ma un “atto di donazione gratuita”. L’essere è amore gratuito donato, quindi nel regno delle cose è un “nulla”. L’amore stesso è nulla! Quando uno ci dice grazie rispondiamo spesso: “di nulla”. Il linguaggio stesso rivela questa dimensione ontologica della realtà. Solo questo nulla dell’amore gratuito — e non, ad esempio, un’insistenza sui valori andati perduti — permette di attraversare e superare il nichilismo, senza ignorarlo o condannarlo.

Dalla sua prima opera all’ultima, Gabe und Vergebung. Ein Beitrag zur biblischen Ontologie (“Dono e perdono. Un contributo per un’ontologia biblica, Freiburg, 2006 a cura di Stefan Oster, oggi vescovo di Passau), Ulrich ha approfondito in modo sempre più acuto questa sua intuizione giovanile riflettendo sull’ateismo, sulla preghiera, sulla libertà e sull’antropologia filosofica dell’infanzia (opera questa tradotta in italiano con il titolo: L’uomo come bambino, Roma 2013). In quest’ultimo suo lavoro, un lungo commento ontologico biblico alla famosa parabola del figlio prodigo (Lc 15), ci viene offerta, se ci si prende il tempo opportuno per una meditazione filosofica dal linguaggio cristallino, ma non semplice, uno sguardo sul mistero ultimo e primo dell’esistenza: il dono gratuito dell’essere. Senza di esso ogni nostra azione e ogni nostro pensiero vengono condannati — da sé, non da un altro — ad un nichilismo senza speranza, gaudente o meno, eroico e meno, a seconda del carattere e della personalità donata, che nella sua dimensione “libertina”, direbbe Methol Ferré, sta devastando ora il mondo ed in modo particolare le popolazioni povere del pianeta, mediante la mercificazione del sesso e l’espansione della droga. Il Padre che “permette” il perdersi del figlio nelle diverse forme di mercificazione dell’essere donato, aspetta con grande attenzione il suo ritorno: per un abbraccio incondizionato! 

Quali che siano le forme che il vuoto nichilista prende nella nostra esistenza storica — ad esempio quella terroristica —, non conosco ultimamente nessun’altra via di superamento e attraversamento che non sia quella semplice e mariana del sì all’amore gratuito donato, anche e soprattutto nella forma sub contrario del dolore del mondo, che è sempre il dolore di singoli uomini e popoli. Come si vede in Maria il suo sì di cuore amante e misericordioso è completamente fecondo, così fecondo che può accompagnare il Figlio fino alla soglia dell’abisso del dolore. Non la protesta, ma l’assenso al dolore portato per amore può cambiare, trasformare anche il male in bene, perché “solo la misericordia è l’unica vera ed ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza” (Benedetto XVI in una recente intervista al padre gesuita belga Jacques Servais).