Molti conoscono gli Amish dai documentari o da film come Witness (Il testimone, diretto da P. Weir, 1985). Sono protestanti originari della Svizzera — dove il loro leader era un vescovo mennonita, Jakob Ammann (1644-1730), da cui deriva il nome “Amish” — o dell’Alsazia, che si stabilirono negli Stati Uniti nel 1720 per sfuggire alle discriminazioni di cui erano vittime in Europa. La teologia degli Amish è protestante di tipo anabattista — cioè comprende il rifiuto del battesimo per i bambini, in comunità che battezzano solo gli adulti — ma quello che soprattutto li caratterizza è uno stile di vita che rifiuta le innovazioni moderne come poco rispettose della natura e del creato. Gli Amish hanno mantenuto un abbigliamento di foggia seicentesca e via via hanno rifiutato l’elettricità, le automobili, la televisione, internet. Sono divisi in varie “famiglie”, alcune delle quali concedono oggi un uso limitato di internet e di veicoli a motore, mantenendo però il divieto assoluto della televisione.



Nella contea di Lancaster, in Pennsylvania, e oggi anche in quella di Holmes, nell’Ohio, che ospita la loro più grande comunità in assoluto, gli Amish attirano ogni anno milioni di turisti, con cui rifiutano gentilmente il contatto, lasciandosi osservare da lontano. Affidano ad amici mennoniti, che però non sono Amish, la gestione di centri d’informazione che spiegano il loro modo di vivere e che non vanno confusi con le “trappole per turisti” a scopo meramente commerciale che spesso vendono “autentici” prodotti Amish fabbricati in Cina.



Amish non si diventa: si nasce. O almeno è quasi sempre stato così. Fino ad oggi. In pieno ventunesimo secolo, si assiste infatti oggi al fenomeno in gran parte inedito — ci fu solo un precedente intorno all’anno 1900 — di un numero significativo di persone che chiedono di diventare Amish. Siti internet frequentati da migliaia di persone sia descrivono la vita degli Amish, sia danno voce al desiderio di molti di entrare a far parte delle loro comunità. Pochi arrivano a farlo davvero, né gli Amish incoraggiano le conversioni. Ci sono però “famiglie” come quelle di Unity, nel Maine, o di Oakland, nel Maryland, più disposte ad accogliere convertiti rispetto ai gruppi più grandi della Pennsylvania o dell’Ohio. Consigliano di prepararsi a casa propria, cominciando a rinunciare alla televisione, e studiando la teologia mennonita. Qualche centinaio di persone che non appartengono né etnicamente né per tradizione religiosa al mondo Amish sono state ammesse negli ultimi anni a un periodo di prova in una delle comunità. Circa duecento ce l’hanno fatta e sono diventati Amish a pieno titolo. Ma gli aspiranti che si scambiano informazioni via internet sono molti di più: parecchie migliaia.



Alcuni dei precursori di questo movimento sono diventati celebrità, come Marlene Miller, che riuscì a farsi ammettere nella comunità piuttosto chiusa dell’Ohio cinquant’anni fa, ci vive tuttora felice e ha scritto un’autobiografia, Chiamata ad essere Amish, o David Luthy, passato da un seminario cattolico a un gruppo Amish canadese. 

Un sociologo, Cory Anderson, ha appena pubblicato uno studio basato su questionari somministrati a oltre mille aspiranti Amish. Anderson rappresenta egli stesso un caso unico: di formazione protestante battista, è riuscito a farsi ammettere negli Amish a diciotto anni e a farsi dare dalla sua comunità il permesso a continuare gli studi universitari, fino a un dottorato in sociologia. Con il suo questionario, Anderson ha scoperto che gli aspiranti Amish sono in grande maggioranza protestanti, non cattolici, e molti sono, come lui, di estrazione battista. Ma ha fatto anche un’altra scoperta curiosa: che ci sono più donne che uomini fra le persone che vogliono diventare Amish, e spesso si tratta di donne giovani e in carriera. Danno come prima motivazione della loro passione per gli Amish il fatto che la società moderna e la carriera mortificano la loro femminilità, mentre vedono paradossalmente le donne Amish, con le loro gonne lunghe e le acconciature di foggia tradizionale, come un esempio di identità femminile fortemente affermata.

Anderson, come altri studiosi, conclude che gli aspiranti Amish di solito conoscono poco la teologia mennonita. Non conoscono bene il mondo che li affascina tanto che molti, al primo contatto, scopriranno che la vita Amish reale non corrisponde all’immagine romantica che se n’erano fatta, e torneranno indietro. Ma conoscono bene il mondo che vogliono lasciare: un mondo che considerano troppo frenetico, dominato dall’ansia del successo e del denaro e privo di quei valori semplici che pensano di trovare tra gli Amish. A chi patisce il disagio dovuto a quella sindrome che qualche sociologo chiama dell’accelerazione, dove si ha sempre la sensazione che il tempo non ci basti, gli Amish offrono isole di decelerazione. Anche il desiderio diffuso di diventare Amish è un sintomo di quanto siano profonde la crisi e la perdita di punti di riferimento che l’America e il mondo stanno attraversando.