Ho incontrato una volta mons. Loris Capovilla nel 2009, nella sua abitazione che dal 1988 era stabilita a Sotto il Monte (Bergamo), paese d’origine di Angelo Roncalli, dove da allora si volle mantenere considerandosi il custode fedele della memoria storica e spirituale di Papa Giovanni XXIII.
Era uomo già in là con gli anni, eppure ancora robusto e animato da uno spirito acceso, direi fiero. Gli offrii un regalo forse non del tutto gradito, un volume di atti sulla figura e l’opera del card. Giuseppe Siri che avevo appena pubblicato a seguito di un convegno organizzato presso la sede del successore card. Angelo Bagnasco con noti studiosi e teologi (Siri, la Chiesa, l’Italia. Marietti, 2009, ndr).
Capovilla prese quel volume, che riporta a tutta pagina, sulla copertina, l’immagine al lavoro di Siri presso il suo studio e lo batté sonoramente sul tavolaccio della sala in cui mi aveva ricevuto, circondato dalle memorie del “Papa buono”. Per un attimo temetti il peggio (non lo conoscevo, infatti, se non come soggetto di citazione nei miei studi), ma subito potei rincuorarmi, perché — come capita, in molti casi, con antichi nemici estinti nell’italico costume anche ecclesiastico — il segretario di Roncalli si rilassò su di una sedia iniziando a sciorinarmi passaggi e aspetti dell’importanza del cardinale presidente della Cei nella storia della Chiesa contemporanea.
Dall’incontro una cosa sola mi fu del tutto chiara: Capovilla era orgogliosamente legato al suo ruolo di custode della memoria e dell’insegnamento di Papa Giovanni con la pubblicazione dei suoi scritti spirituali e relazioni epistolari. Anche figure e gruppi intellettuali che per certi versi potevano sembrargli vicini nella mentalità discontinuista post-conciliare — quella per capirci che procede dall’iniziale solco tracciato da Giuseppe Dossetti — ultimamente gli destavano sospetti, in tutte le iniziative di pubblicazione di scritti e studi sul pontefice bergamasco, in cui avvertiva un certo spirito “di sottrazione” rispetto al suo ruolo di fedele (e unico davvero legittimato) custode.
In una storia della Chiesa del Novecento la centenaria presenza di Loris Capovilla, per quanto tutto sommato non centrale, andrà certamente approfondita, e non è certo questo il luogo né ancora il momento per farlo. Così come a mio avviso — l’ho scritto in diverse occasioni — ciò vale storiograficamente per la figura del suo modello, del suo (e di tutti) Papa Roncalli.
Quello che non dissi allora a Mons. Capovilla nel nostro curioso incontro, forse per il timore che prova il giovane studioso davanti al “monumento vivente”, e fors’anche un po’ per non riallargare antiche sue ferite, è quanto diverso avevo già capito essere stato il rapporto tra Roncalli e Siri, posti in una delle tante antinomie “destra-sinistra” (post)conciliare, a mio avviso acritiche ma molto alla moda in certa storiografia discontinuista.
Dalla presunta contesa al soglio pontificio del ’58 (con un Siri certamente “delfino” di Pio XII che sarebbe stato ritenuto troppo giovane, 52 anni, per la richiesta prospettiva di un “pontificato di transizione”, e un Roncalli dal perfetto physique du rôle per tale frangente), è stato tutto un susseguirsi di ipotetiche polarizzazioni, sempre avanzate sulla schematizzazione conservatore (Siri) vs progressista (che sarebbe stato Roncalli). Mah. Sino alla mai curiosamente sottolineata scelta roncalliana di indicare il porporato genovese come primo presidente (e di fatto fondatore) della Cei, poi confermata dallo stesso papa Giovanni nel ’62 — Siri riluttante — in prossimità dell’Assise Vaticana, evidentemente non un segno di disistima, ma di grande investimento del pontefice sull’arcivescovo di Genova.
Ma sarebbero tanti gli argomenti — e soprattutto le fonti — in favore di una revisione storica di tali opinioni politicizzanti, e molti gli stereotipi da ridiscutere pendenti ad oggi anche sulla figura del Papa “buono”, di cui ho in parte già scritto anche sulle pagine del sussidiario, e dei quali in un commento a caldo non è possibile dare conto. Preferisco allora chiudere con un aneddoto, o poco più, anche se stiamo parlando di una deposizione ufficiale per una causa di canonizzazione, appunto quella di Giovanni XXXIII. Ecco il “nemico” Siri come lo ebbe tra l’altro a ricordare nella Positio Super Virtutibus: «Per quanto riguarda la povertà, il cardinale Giuseppe Siri ha riferito che Giovanni XXIII “avendo aperto un cassetto dove vi erano molte camicie e maglie di Pio XII, osservò: ‘Peccato, sono così grosso che non mi vanno bene!’, per dire che si sarebbe messo, senza esitazione, gli indumenti del suo predecessore”».
Chissà che ora, nel suo ritorno al Creatore dopo cento anni di vita certamente vivace, mons. Capovilla non sia riuscito a rincontrare il Papa, che ha tanto devotamente amato, e magari gli abbia chiesto se poi quei vestiti di Pacelli gli andassero veramente stretti, o se fu solo una sottolineatura del card. Siri per raccontare la bella povertà umana e spirituale di un confratello nell’episcopato (e poi sul Soglio petrino) in cui evidentemente intravide non un nemico, ma un profilo di santità?