In anteprima un testo critico di Massimo Morasso che accompagna la nuova edizione del poema “Fuori i secondi” di Corrado Bagnoli a undici anni dalla sua prima pubblicazione e a pochi giorni dal debutto dell’omonimo spettacolo teatrale di cui, al termine dello scritto, anticipiamo le date (ndr).

Nonostante le Cassandre che hanno piacere di levare, di tanto in tanto, la propria voce impastata di vuoto vaticinando qualcosa di molto simile alla fine della poesia, la poesia italiana è viva e vegeta. Forse, addirittura, non è mai stata così viva e così vegeta come in questo primo quindicennio del XXI secolo. Sbaglierò, può darsi, ma passato a miglior vita il Novecento, a me il cosmo poetico strapaesano soppesato al netto della deriva epigonica sembra essere percorso, e rivitalizzato, da forze rivoluzionarie tutt’altro che asfittiche, se per rivoluzione vale l’idea di un processo rapido, che porta al mutamento radicale di un ordine dato. 



Una rivoluzione che sta operando per vie carsiche, naturalmente, tra il silenzio ciarliero (di molti dei lettori più accreditati) e lo strepito vacuo (di parte del popolo della rete, soprattutto), ma che lo stesso sa esprimere una dinamica storica riconoscibile: quella che allo spirito spento e tristanzuolo dell’epoca dell’inconsistenza, e al codazzo complice dei suoi Numi e lacchè, contrappone il fil rouge che lega talune lungimiranti esperienze di scrittura a una tradizione che mi viene voglia di definire di poesia “onesta”. Sottotraccia, naturalmente, come lo è da sempre molto di ciò che importa, il panorama dell’Italia che scrive in versi sta vivendo una metamorfosi senza precedenti, in grado di prefigurare, se non “svolte epocali” (!), nuovi orizzonti di dicibilità, nuove configurazioni del mandato poetico. 



Come il debordo fecondo del nuovo che avanza, un debordo che è semina, in quel panorama — che va erodendosi nei suoi stessi confini, mosso da forze esogene ed endogene —, chi ha occhi per intendere vede stagliarsi temi e “modi” ricchi di futuro, anche o forse soprattutto sul piano della lingua: sarà anche postuma a se stessa, oggi, la poesia, voglio dire, ma non è necessario scomodare i fantasmi di Vico o Shelley per ricordare agli araldi del -post a ogni costo, e, perché no, anche a noi stessi, che a una morte e a un “dopo” segue o può seguire una rinascita, e un altro “prima”.   



In una grigia periferia di una grigia cittadina in Brianza, Augusto, da giovane promessa del pugilato italiano anni 50 qual è, incontra Maria e… lascia il ring, e diventa padre. Questa, in estrema sintesi, la trama entro la quale Corrado Bagnoli ha disegnato, dieci anni fa, i contorni sorprendenti dell’epopea di Fuori i secondi, uno dei capintesta più notevoli della piccola avanguardia oltre-novecentista che anima questo nostro ultimo, fertilmente contradditorio scorcio d’anni. Un libro atipico, per non dire chiaro e tondo un libro “unico”, ai tempi della sua prima edizione, nel 2005; e un libro che resta atipico, e segna una via, anche nell’ambito più ristretto della recentissima poesia italiana. 

Un libro, ancora, che fra i suoi non pochi pregi ha quello del coraggio mitoesistenzialista di narrare una storia semplice in forma di poemetto, riuscendo nell’arduo compito di inscriverla nel segno di un realismo visionario di forte carica evocativa, grazie a una scrittura distesa ma non per questo ostile, per partito preso, ai suoi possibili sviluppi verticali. Già Claudio Damiani in punta di secolo ci aveva ricordato con autorevolezza di come una famiglia qualunque possa essere covo o culla di eroi, dove le res gesta sono le piccole e grandi cose di ogni giorno, con il loro carico di affetti e stupori. Rispetto a Damiani, Bagnoli restringe l’angolazione del mirino tematico dalla famiglia al pater familias, per muoversi sul terreno del ritmo e del lessico con un impeto riformativo e inclusivo che ha pochi equivalenti negli ultimi anni, qui da noi, fra i poeti degni di questo nome. Bruciata in un falò rigenerante la materia intellettualistica del “poetese”, la poesia di Fuori i secondi espone il lettore all’assalto di un corpo-linguaggio insieme “grosso” e ruspante. Così grosso e ruspante, e pieno d’energia, da saper mettere storicamente KO (mi si concederà, spero, l’incongruità della metafora) tanto il flatus vocis di certo lirismo residuo da parola innamorata, quanto i cachinni ironico-depressivi delle male pratiche dell’understatement… 

L’azzardo perpetrato con fierezza ma senza spocchia da Bagnoli è di quelli forti: rinnovare nel cuore freddo del tardo post-moderno la scommessa di una parola sentimentale collegata senza soluzione di continuità, né furberie da letterato, all’etica del genius loci. Dar voce all’epica quotidiana di un popolano della Brianza (che poi è il padre del poeta, lo sappiamo, ma questo a noi lettori non deve importare. Non lo sapevo neanch’io, che Augusto è stato il padre di Corrado, quando lessi il libro per la prima volta: e il saperlo, adesso, lo dico fra parentesi, non sposta di un’acca il mio giudizio), diventa per Bagnoli il pre-testo necessario e sufficiente per spingersi a scavare con ribalda naturalezza nella sostanza terragna, maternamente tellurica, della lingua. 

Tersissimo per intensità di fervore mimetico, il parlato basso della piccola società famigliare, sportiva e professionale protagonista del libro sa restituire l’immagine di una coralità nutrita da quelle profonde radici analfabetiche che, come ci ha insegnato magistralmente Bergamìn, nutrono qualunque costruzione del pensiero, filosofica o poetica che sia. Non a caso, a fronte del testo in lingua italiana, in questo romanzo di formazione fatto di lunghi o addirittura lunghissimi versi in sostanza di parlato segue la ri-creazione dialettale — a sua volta felice, e anch’essa perfettamente verosimile — che ha saputo farne Piero Marelli. Una voce “seconda” che incita il lettore non distratto a riconoscere quello che è uno dei messaggi salienti che fanno l’eredità più intrigante di questo Bagnoli maggiore, che tanto meno abdica alla poesia, si direbbe, quanto più sembra essere a un passo dall’abiurarla. 

Tanto che al mio orecchio interno, la locuzione “fuori i secondi” richiamata nel titolo non suona come la versione italiana del monito (“seconds out”) che prelude all’inizio di ogni “round” nel gergo del boxing internazionale. Non suona solo così, intendo, se è vero che fuori i secondi, appunto, per slittamenti di senso che passano lungo vie analogico-metaforiche, che poi sono le vie della poesia, potrebbe perfino arrivare a significare qualcosa come “Fuori da qui, fuori dalle mie pagine, discorsi di seconda mano…” — il che, ammesso e non concesso, sarebbe un altro modo di dire, e di augurarsi, “Via da qui, via dai miei versi, patologie dell’orpello e del belletto estetizzante…”. Per trovare il coraggio di battersi vis à vis con la parola nuda, occorre avere antenne linguisticamente sensibili e intelletto allenato a sufficienza da sostenere i lasciti, cioè a dire: i pesi, di un’intera tradizione. 

A differenza di migliaia di anime belle, Bagnoli questo lo ha capito benissimo. E si è dato da fare, a giudicare dagli esiti, per attrezzarsi e irrobustirsi, e portare a compimento il suo difficile intento; che in poesia, qui come altrove è un intento eminentemente stilistico, va da sé. La fluente narratività che informa tanta poesia contemporanea d’area anglo-sassone si sposa in questo suo ambizioso cimento con il passo inattuale dell’epica. In questo Bagnoli così “estremo”, Murray docet più ancora di Walcott. Da noi, lasciando stare i vibratili psicologismi di Bertolucci, è nell’epos langarolo di Pavese e in quello antartico di Mussapi (sì, proprio a tale imprevedibile latitudine più che a quella scialbo-periferica, pur, anch’essa, fraternamente padana, notomizzata a suo tempo da Pagliarani) che si rintracceranno gli esempi più pertinenti alla contestualizzazione in chiave genealogica di un discorso poetico così innovativo. 

Alle volte, si può fare la rivoluzione anche senza alzare le barricate. Basta — e questo è uno dei meriti grandi di Bagnoli al suo meglio — saper scegliere con oculatezza i propri padri, calibrare il proprio respiro su quello di qualcuno che può essere chiunque, trovare le parole giuste e i ritmi più opportuni per concatenarle, quelle parole, e, raccontando del destino di quel chiunque, sollevarlo a una statura “mitica”. Che non vuol dire farlo salire sul proscenio di cartapesta dell’irrealtà, ma riportarlo all’altezza dell’originario, là dove tutto, in fondo, e non soltanto l’avversario di turno, non può che essere knock out of Time.


“Fuori i secondi” di Corrado Bagnoli
Teatro Belloni – via Colombo 38, Barlassina (MB) – 10 maggio ore 21
Teatro S. Valeria – via Wagner 85, Seregno (MB) – 15 maggio ore 21
Teatro S. Giulio – via Colombo 20, Barlassina (MB) – 20 maggio ore 21
Teatro Duse – via Marco d’Agrate 49, Agrate (MB) – 22 maggio ore 21
Teatro Principe – viale Bligny 52, Milano – 4 giugno ore 19.30