Capita di rado che un libro di teologia tenga svegli come un giallo, e non si riesca a posarlo prima di avere scoperto “come va a finire”. Di solito, questo avviene quando il tema affrontato non è solo importante, ma è decisivo per interpretare fenomeni e accadimenti di attualità. È stato il caso, almeno per chi scrive, di Oralità e magistero. Il problema teologico del magistero ordinario (D’Ettoris, Crotone 2016) del teologo piacentino don Pietro Cantoni. Eppure il libro non fa neppure cenno alle controversie recenti su Papa Francesco, citato solo una volta in un elenco di Pontefici autori di encicliche. Chi lo legge, però, sa che cosa rispondere — direi, in modo tendenzialmente definitivo — ai tanti che affermano che si possono rifiutare i documenti di Papa Francesco perché “sono contrari alla Tradizione” e comunque “non sono infallibili”. Curiosamente, e Cantoni lo mostra con acume, certi “tradizionalisti” di oggi usano gli stessi argomenti che i “progressisti” di ieri invocavano per rifiutare l’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI.



Non sono un teologo e leggo il libro da sociologo. Ci trovo quattro nuclei tematici di notevole importanza e profondità. Il primo — che interpella in modo particolare proprio i sociologi — dà il titolo al libro e propone un vero e proprio cambiamento di paradigma negli studi sul Magistero nella Chiesa. Citando soprattutto lo storico della cultura gesuita Walter Jackson Ong (1912-2003), Cantoni sostiene che nella Chiesa cattolica c’è un primato originario dell’oralità sulla scrittura, difficile da capire per l’uomo moderno immerso da secoli nella cultura scritta, ma fondamentale. Gesù Cristo non ha scritto nulla e, a differenza di altri fondatori di religioni, non ha lasciato un libro ma testimoni viventi, gli apostoli. A questo primato originario dell’oralità — che non nega in nessun modo il ruolo essenziale della Sacra Scrittura — occorre sempre risalire per comprendere le nozioni di autorità e di Magistero nella Chiesa.

Il primo nucleo tematico introduce al secondo, relativo alla Tradizione. Il Concilio di Trento ha sottolineato l’importanza della Tradizione come fonte della fede cattolica accanto alla Scrittura. Ma, così facendo, non ha inteso affiancare un libro a un altro libro, quasi che — a differenza dei protestanti, per cui conta solo la Bibbia — i cattolici dovessero confrontarsi non con un libro sacro ma con due, la Scrittura e un manuale — sia la raccolta di documenti del Denzinger tanto usata nei seminari o il Catechismo della Chiesa Cattolica — che contiene la Tradizione. Confrontando diverse nozioni di Tradizione — senza rifiutare un confronto difficile ma fecondo con pensatori non cattolici come René Guénon (1886-1951) — Cantoni ritorna all’oralità. 

La Tradizione vivente nella Chiesa parla certo attraverso documenti ma parla soprattutto attraverso l’insegnamento quotidiano dei Romani Pontefici. Aggiungo — l’osservazione è mia, non di Cantoni — che chi protesta contro lo stile per molti versi nuovo di Papa Francesco che di rado propone definizioni ma si esprime attraverso la narrativa, la storia, l’aneddoto, l’omelia non comprende che questo modo di trasmettere l’insegnamento della Chiesa è in effetti eminentemente “tradizionale” e corrisponde proprio al primato dell’oralità.

Il terzo nucleo tematico riguarda la distinzione fra Magistero straordinario e ordinario e la questione tanto discussa dell’infallibilità. I progressisti ieri e i “tradizionalisti” ostili a Papa Francesco oggi — lo stesso Pontefice li ha chiamati così, anche se l’espressione potrebbe avere anche un senso legittimo e positivo — affermano, correttamente, che le definizioni infallibili nella storia della Chiesa sono rarissime, anzi in epoca moderna sono forse solo due: le proclamazioni dei dogmi mariani dell’Immacolata Concezione nel 1954 e dell’Assunzione nel 1950. Ma al di fuori delle definizioni infallibili non c’è una sfera del “fallibile” che autorizzerebbe i fedeli a ignorare il Magistero dei Papi. Un punto fondamentale del testo è che la nozione di infallibilità — fin dalle sue origini moderne nel pensiero di Joseph de Maistre (1753-1821) — non è univoca ma analogica. Non c’è una separazione netta fra il Magistero straordinario e quello che a partire dal breve Tuas libenter del beato Pio IX del 21 dicembre 1863, di cui Cantoni ricostruisce minuziosamente la genesi storica, la Chiesa chiama Magistero ordinario. C’è un’area di “infallibilità in senso largo” o “inerranza” che attiene ai pronunciamenti ripetuti e non isolati del Magistero ordinario, e un’area di insegnamenti quotidiani dei Romani pontefici che, pur essendo riformabili, devono essere accolti e obbediti con piena adesione della mente e del cuore. E questo vale in particolare per le encicliche, senza che sia dirimente la materia più o meno “pastorale” o il tono discorsivo: e Cantoni, scrivendo prima della Amoris laetitia, sottolinea anche l’importanza speciale delle esortazioni apostoliche post-sinodali.

Che cosa pensare, allora, di coloro che “da destra” o “da sinistra” affermano che il Magistero ordinario, almeno quando cade al di fuori dell’area dell’infallibilità, si può tranquillamente contestare? Costoro citano testi di teologi antichi che in genere partono dall'”incidente di Antiochia” descritto nella Lettera ai Galati, in cui san Paolo “resistette in faccia” al primo Papa, San Pietro, in materia di separazione della mensa — che Paolo rifiutava — fra cristiani convertiti dall’ebraismo e cristiani convertiti dal paganesimo che non osservavano le prescrizioni alimentari ebraiche. È noto che Martin Lutero (1483-1546) considerava la Lettera ai Galati come “la sua sposa spirituale” e pensava di trovarci la prova che era lecito rifiutare gli insegnamenti dei Pontefici.  

Riportando la discussione sul caso di Antiochia nata dal monumentale commentario della Lettera ai Galati di Heinrich Schlier (1900-1978), un grande teologo protestante che proprio riflettendo su quel testo si convertì al cattolicesimo, Cantoni mostra come ad Antiochia Paolo non rifiutò un insegnamento dottrinale di Pietro, ma un comportamento “politico” che considerava in contraddizione con quanto lo stesso Pietro insegnava. Cantoni non propone un’applicazione diretta a vicende di oggi, ma questa è evidente. Si possono certamente, con il dovuto rispetto e con prudenza, mettere in discussione comportamenti e politiche dei Pontefici — dalle nomine di vescovi a più complesse strategie di guida della Chiesa —, per non parlare della loro estetica e del loro stile che possono essere considerati opportuni o non opportuni. Ma non è mai lecito rifiutare insegnamenti dottrinali dei Papi, anche non infallibili e riformabili in futuro ma che, fino a quando non sono riformati, obbligano il fedele cattolico all’adesione leale.