Il 20 aprile 2016 ha coinciso con il settantesimo dalla morte di Ernesto Buonaiuti. L’anniversario è passato quasi sotto silenzio: pochi articoli di giornale, per lo più impegnati a dare notizia di un appello per la riabilitazione di Buonaiuti “nella società e nella Chiesa” e a tracciarne un profilo. Come le riabilitazioni, gli anniversari sono un genere proprio dei nostri anni: consentono di superare alcuni nodi senza affrontarli. Altri generi si fanno a volte carico di questi nodi, accennando ad essi con segnali che devono essere sciolti. Comincio da uno di questi segnali in parte inattesi.



Il protagonista dell’ultimo film di Roberto Andò, Le confessioni (2016), è un monaco certosino interpretato da Toni Servillo. Il monaco è invitato come ospite a una riunione dei ministri finanziari del G8, presieduta dal direttore del Fondo monetario internazionale, nella finzione Daniel Roché. Roché si confessa con il monaco – nella finzione Roberto Salus – e subito dopo viene trovato morto. Il giallo che ne segue, con uno svolgimento che non svelerò, fa da cornice a molti dettagli che il regista vorrebbe pieni di significati, che sono tali solo nella misura in cui, scartando dal vero al verosimile, rappresentano anomalie significative. Una per tutte: Roberto Salus porta con sé un libro del quale gli spettatori intravedono titolo e autore, L’essenza del cristianesimo di Ernesto Buonaiuti.



Con il titolo L’essenza del cristianesimo, Buonaiuti pubblicò nel 1921 due conferenze tenute nel marzo-aprile dello stesso anno. Il modello (e il bersaglio) erano chiari: le lezioni che, sotto lo stesso titolo, Adolf Harnack aveva professato all’Università di Berlino nel 1900. L’essenza del cristianesimo di Harnack aveva lasciato una traccia profonda nella storia del cristianesimo dell’Occidente europeo; la stessa traccia non fu lasciata da Buonaiuti, ma la sua figura ebbe un peso non irrilevante nella storia del cristianesimo in Italia. La sua autobiografia – Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo – apparsa nel 1945, pochi mesi prima della morte, è nello stesso tempo simile alle Confessioni (di Agostino di Ippona) e all’Essenza del cristianesimo (di Adolf Harnack e dello stesso Ernesto Buonaiuti). Suddivisa in quattro parti, essa è una confessione e una meditazione sull’essenza del cristianesimo. Essenza del cristianesimo o meglio essenze del cristianesimo, al plurale, dal momento che, come le quattro parti della sua autobiografia, esistono almeno quattro Buonaiuti, in grado di rivelare quattro diverse essenze del cristianesimo, non sempre coincidenti con quanto confessato nel Pellegrino di Roma.



Il primo Buonaiuti è quello della formazione ricevuta nel Seminario romano, dominata dalla figura di monsignor Umberto Benigni. Nel Pellegrino di Roma, la rilevanza di Benigni è il segno del peso che questa singolare figura ebbe nella vita di Buonaiuti e di molti seminaristi transitati per il Romano, non ultimo Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII.    

Roncalli fu per breve tempo compagno di studi di Buonaiuti (nacquero entrambi nel 1881), fu assistito da don Ernesto durante la sua prima messa e fu il destinatario di una copia delle dispense di storia ecclesiastica che, tra il 1904 e il 1906, in continuità con l’insegnamento e sulla cattedra di Benigni, Ernesto Buonaiuti preparò per i suoi compagni divenuti in alcuni casi suoi studenti.

Il secondo Buonaiuti è quello allontanato dall’insegnamento al Romano e immerso nella bufera scatenata dall’enciclica Pascendi dominici gregis di papa Pio X del settembre 1907. A differenza delle dispense appena ricordate, legate al primo Buonaiuti, il rapporto tra l’essenza del cristianesimo e l’idea che di essa aveva il secondo Buonaiuti fu molto diversa da quello che allora era il magistero pontificio. Il programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi dominici gregis” del quale Buonaiuti fu, in forma anonima, coautore, esponeva una concezione del dogma del tutto diversa da quella che è possibile ritrovare nell’enciclica piana. Va detto che don Ernesto avrebbe cambiato presto posizione e che, sul punto, i Buonaiuti furono di certo non solo quattro; e tuttavia, se dovessimo trovare un punto di passaggio tra il secondo e il terzo Buonaiuti, lo troveremmo negli anni Trenta.

Professore di storia del cristianesimo privato della cattedra nel 1931, scomunicato vitando dal 1925, il terzo Buonaiuti non rinunciò al suo rapporto complesso non solo con la Chiesa romana, ma anche con il magistero pontificio. Pio XI sarà per Buonaiuti una sorta di oscuro oggetto del desiderio: costantemente riprovato per la sua politica concordataria, sarà, sul piano teologico, al centro di molte delle riflessioni di don Ernesto negli anni Trenta. Diverso sarà il suo rapporto con Pio XII, sulla soglia del passaggio dal terzo al quarto Buonaiuti.

Il Buonaiuti degli ultimissimi anni, dalla liberazione di Roma alla morte, il 20 aprile 1946, farà in tempo a far apparire un libro fondamentale e a non vedere l’uscita di un volume altrettanto fondamentale: il più volte ricordato Pellegrino di Roma e Pio XII. Il giudizio particolarmente duro sui primi anni di papa Pacelli va inquadrato negli ultimi mesi della vita di Buonaiuti. Ci furono tentativi per una sua riammissione alla comunione con la Chiesa romana, che egli rifiutò. Né poteva essere diversamente: la riammissione sarebbe stata allo stesso tempo una riabilitazione e una sconfessione. E tra le varie essenze del cristianesimo percorse da Buonaiuti, queste ultime due non erano contemplate.