Improvvisamente gli islandesi sono diventati simpatici a tutti. E chissà quanti avrebbero voluto che in finale ci arrivassero loro, anziché i francesi. Anche in letteratura fanno una gran bella figura, almeno da quando Giacomo Leopardi ha destinato proprio a un islandese la parte da protagonista nella sua più celebre operetta morale. Come nel 5-2 degli Europei, anche nel Dialogo della Natura e di un Islandese quest’ultimo perde, e viene perfino sbranato da due leoni (Giroud e Griezmann?). Tuttavia è suo l’ultimo gol, l’ultima decisiva battuta. Qui riportiamo un loro dialogo calcistico-filosofico, con piccole intrusioni nel capolavoro leopardiano (in corsivo) e qualche inattesa irruzione (in finale c’è pur sempre il Portogallo).
ISLANDESE — Io volevo soltanto vivere una vita oscura e tranquilla: cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà. Eppure la lunghezza del verno, l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della state, che sono qualità di quel luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare una gran parte del tempo, mi straziava gli occhi col fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Non c’è modo di starsene tranquilli, neanche in Islanda. Forse perché non siamo nati per la tranquillità, ma per la felicità. Eppure è strano: tu, Natura, ci hai infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa imperfetta. Spiegami allora una cosa: perché ci hai dato tanto desiderio di felicità e noi non riusciamo mai a raggiungerla? Diciamocelo, tu sei nemica scoperta degli uomini: infatti tu mi hai dato questo desiderio immenso e tu non permetti che si compia. Si arriva ai quarti di finale, si sogna l’impresa. Dopo si incontra un avversario più forte, e tu non rendi poi quel che prometti allor.
NATURA — Immaginavi tu forse che il mondo, come gli Europei, fosse fatto per causa vostra? Ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Il calcio è deciso dagli episodi. Così la vita: oggi si vince, domani si perde. Smetti di pensare alla tua felicità!
ISLANDESE — Ponghiamo caso che uno m’invitasse spontaneamente a una sua villa ma poi non si prendesse cura di me: scusa, cosa mi hai invitato a fare? t’ho io forse pregato di pormi in questo universo? Perché partecipare, se non per vincere? Perché vivere, se non si può essere felici?
NATURA — Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, che serve continuamente alla conservazione del mondo. Mors tua vita mea, no? The show must go on. Fra quattro anni ci sarà il prossimo europeo. Passeranno questi giocatori, ne arriveranno altri.
ISLANDESE — Natura, dimmi la verità: sei francese, vero?
NATURA — Come lo sai?
ISLANDESE — Perché opponi al geyser del mio cuore la Bastiglia della tua ragione. E ti glori di andare avanti, di vincere. Sai qual è il tuo più grande risultato? La rivoluzione francese. Ebbene, è veramente compassionevole il vedere come quei legislatori francesi repubblicani credevano di assicurar la durata della rivoluzione col ridur tutto alla pura ragione, e pretendere per la prima volta di geometrizzare tutta la vita. Cosa non solamente lagrimevole in tutti i casi se riuscisse, e perciò stolta a desiderare, ma impossibile a riuscire, perché dirittamente contraria alla natura dell’uomo e del mondo.
NATURA — Ma sì che tutto si può spiegare. Uno schema in campo e uno schema nella vita.
ISLANDESE — Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo? che senso hanno questi Europei, queste speranze, questa vita? A questo non sai rispondere. Qui rimani muta. D’accordo, vincerai tu, ma queste domande nessuno potrà cancellarle. Risuoneranno nei cuori di tutti, si riconosceranno in me, nell’islandese. E diranno che i francesi non solamente non sono atti al sublime, né avvezzi a produrlo in qualunque forma, ma disublimano ancora le cose veramente sublimi. L’hai mai visto l’oceano? Una cosa tanto sublime che non si può geometrizzare?
Non dimenticherete la voce di chi ha visto l’oceano. Sarà magari un portoghese come Fernando Pessoa a ricordarci la stanchezza dell’intelligenza astratta. Perché noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il Cielo. O salso mare, quanto del tuo sale sono lacrime del Portogallo! Come ha cantato Francesco Guccini, un giorno al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese. Il mare soltanto e il suo primo bikini amaranto. Qualcosa la prese e si mise a pensare: sentì che era un punto al limite di un continente, sentì che era un niente, l’Atlantico immenso di fronte. E in questo sentiva qualcosa di grande, che non riusciva a capire, che non poteva intuire, che avrebbe spiegato se avesse capito lei quell’oceano infinito.
Allora senti, Natura: io, questo niente che sente qualcosa di grande più dell’oceano infinito, non ti parlerò più. Perché non sai niente dell’infinito, e non lo sei. Canteremo il nostro inno nazionale al Dio di chi vince e di chi perde: O Dio della nostra terra, noi adoriamo il Tuo nome nella Sua sublime bellezza. I soli dei cieli sono posti sulla Sua corona dalle legioni, dagli anni del tempo. Con te ogni giorno è come mille anni, mille anni non più di un giorno, che come fiore dell’eternità, con il suo omaggio di lacrime, con delicatezza muore. I mille anni dell’Islanda! Fiore dell’eternità, con il suo omaggio di lacrime, con delicatezza muore.