E’ da poco in libreria I segreti di Bologna (Chiarelettere, 2016), dell’ex giudice Rosario Priore e dell’avvocato Valerio Petronilli, che tocca molto da vicino temi sui quali Salvatore Sechi, storico, già consulente della commissione parlamentare Mitrokhin, si è soffermato approfonditamente su queste pagine.



Professor Sechi, che cosa pensa del nuovo lavoro di Priore e Petronilli?
La prima è un’impressione sgradevole, e riguarda l’editore. Pubblicare dei saggi che sono quasi sempre di ricerca (anche se appartengono ad una storiografia minore, quella delle trame e dei complotti in cui, secondo Chiarelettere, si esaurirebbe gran parte della storia dell’Italia repubblicana) senza l’indice dei nomi e senza la bibliografia edita e le fonti, è un atto di barbarie. Il ministro per i Beni culturali Franceschini…



Professore, che fa, vuole sollevare un affare di stato?
Da giovane Franceschini ha cominciato scrivendo un libro di storia, sul partito popolare di Ferrara. Conosce quindi le regole elementari della storiografia. Pertanto,  dovrebbe rendere obbligatoria la lista delle persone, dei luoghi e delle opere citati  come degli archivi consultati.

E la pena?
Il sequestro de libri e il ricovero dei direttori editoriali in un ospedale psichiatrico. Questo malcostume di omettere l’indice dei nomi e delle fonti come se fosse non un elementare dovere di serietà scientifica, ma un piacere opzionale, dovrebbe finire.



Nel merito, qual è il suo giudizio?
Conosco Priore, seppure un po’ meno Valerio Cutonilli. Quest’ultimo è un avvocato, un civilista, di vivace intelligenza, capace di collocare le vicende giudiziarie e i fatti processuali in un’ampia prospettiva storico-politica. A me è bastato nel 2007 leggere l’intervista su Bologna Strage all’italiana, a cura di Gialuca La Penna (Edizioni Trecento, ndr) per rendermi conto che non era solo il difensore del ragazzo dei Nar, il povero Ciavardini, condannato insieme ai killer Fioravanti e Mambro.

E Priore, col quale lei per un certo periodo ha collaborato?
Priore è una persona proba e gradevole. Vive con la coscienza tormentata. Cerca da anni di sedarne le emozioni e i turbamenti che lo assalgono. Avendo curato le indagini ed emesso sentenze sui principali processi di terrorismo avvenuti in Italia (da Ustica al caso Moro), è sempre più dominato da un sospetto. Teme che tutte le inchieste di cui si è occupato avessero al centro un’unica regia, cioè dirigenti e membri del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.

Ma nelle sue sentenze mi pare essere prevalente l’assoluzione degli uomini dell’Olp (guidata da Arafat) e del Fplp (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina).
Penso che il rovello, la coscienza infelice del dottor Priore vada rispettata. Può non aver sempre visto l’ampiezza dei soggetti e dei temi di un processo. Ma questo eventuale limite non ne diminuisce il rigore. E soprattutto non lo assoggetta al reato di depistaggio, come annuncia qualche energumeno del fortilizio sovietico bolognese. Al proprio passato, agli eventuali errori e incompletezze di indagini, questo magistrato intende rimediare. In questi ultimi anni ha offerto ai colleghi, tornando sui suoi passi, elementi e prove per riaprire procedimenti chiusi da molto tempo.

Prof. Sechi, lei di che cosa si è occupato collaborando con Priore?

Abbiamo consultato insieme gli archivi giudiziari di Ortona, Roma-Rebibbia e in parte di Venezia. Sono quelli che vengono utilizzati in gran parte delle fonti citate a piè di pagina di questo libro di Cutonilli e Priore. Poiché essi non l’hanno fatto mi consenta di ringraziare per la loro liberalità sia i presidenti dei tribunali sia gli archivisti che ci hanno aiutato nelle ricerche di archivio.

Vada avanti.
Con Priore abbiamo cercato di rispondere alla seguente domanda: nel 1974-1979 la politica delle intese, e anche del cedimento, dei governi italiani col terrorismo arabo-palestinese, a cominciare dal cosiddetto lodo Moro, ha favorito l’uccisione di centinaia di magistrati, giornalisti, imprenditori, uomini politici, agenti delle forze dell’ordine eccetera. Com’è potuto avvenire che il traffico di armi, ammesso da Rumor, Moro e altri per aiutare il Fplp a darsi un’identità statuale, abbia finito per alimentare le operazioni militari e i delitti delle Brigate rosse? In altre parole si è trasformata in una micidiale macchina da guerra a carico di molti cittadini italiani.

Professore, sta dicendo che le autorità politiche italiane, cioè ministri e presidenti del Consiglio, hanno autorizzato la concessione di armi ad un’organizzazione terroristica come il Fplp, significa accusare di complicità l’Italia in attentati, assalti a uffici, aeroporti, redazioni di giornali, esecuzioni sommarie di personaggi di ogni livello e grado. Ci porti degli esempi concreti.
Nomi e cognomi,certamente. Ma abbia la bontà di seguirmi. In primo luogo il Fronte di George Habash e l’Olp di Arafat di cui il primo faceva parte negli anni Settanta del secolo scorso, veniva concepito come un’organizzazione con un fine da noi condiviso: dare al popolo palestinese una patria e uno Stato. Quindi i mezzi usati nella guerra contro Israele, come la stessa violenza, anche se non era per niente gradita e mai accettata dai governi italiani, erano ritenuti un doloroso incidente di percorso, azioni crudeli imposte dalla necessità e dall’emergenza.

Insomma, una sorta di forza maggiore per conseguire l’obiettivo condiviso di dare un territorio e uno stato a milioni di “dannati della terra” (profughi e migranti). Bene, ora i nomi, per favore.
Ho consultato a lungo la documentazione archivistica stivata dal giudice Carlo Mastelloni nell’archivio del Tribunale di Venezia. Esiste una sezione dedicata al traffico di armi tra il Fplp e le Brigate rosse. Nei numerosi dossier sono accumulati gli interrogatori di numerosi dirigenti del Comitato armi del ministero degli Esteri. Molti erano funzionari legati ad Aldo Moro o esponenti del Psi. Questo organo si occupava delle pratiche e delle autorizzazioni per consentire alle imprese pubbliche e private italiane di esportare armi e prodotti militari nei paesi del Terzo Mondo.

Ma il Fplp e la stessa Olp non erano uno Stato.
Proprio per ovviare a questa condizione che lei giustamente rileva, veniva applicato il metodo detto della trivellazione. Formalmente il carico di armi veniva spedito alla Grecia, all’Iran o all’Egitto, per fare degli esempi, ma il destinatario finale erano le organizzazioni terroristiche di Arafat e di Habash.

Ma l’Olp e, all’interno della sua galassia, il Fplp non si erano dati il compito, una vera e propria missione, di statualizzare l’identità palestinese, dare ai profughi una patria e uno stato?

Il Fplp fu creata l’11 dicembre 1967 da alcuni ufficiali siriani e diretta da un medico, un ricco signore libanese come George Habash. E’ stato sempre legato all’Unione sovietica, e nel 1970 fu reclutato in seno al Kgb.

Ebbe posizioni molto più radicali di quelle sostenute da Arafat.
E’ vero. Infatti, guidò il cosiddetto “fronte del rifiuto” della politica delle intese lanciata dal capo dell’Olp all’Onu nel discorso qui tenuto il 13 novembre 1974. Arrivò a teorizzare, e anzi praticare, il dirottamento degli aerei e la strage della popolazione civile.

Anche la generazione più recente non dimentica un’analisi di Habash compendiata in una frase: “L’uccisione di un bambino ebreo è molto più efficace, in termini di immagine e di consenso, di una sconfitta riportata sull’esercito di Israele”.
Appunto. Dobbiamo chiederci, per capire questa grande carneficina, che cosa c’è alla radice della strage di Bologna, di Ustica e precedentemente, all’inizio anni Settanta, nell’aeroporto romano di Fiumicino. Direi che la penetrazione che ebbe questa linea politica di colpire a morte e intimidire prese corpo tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta. Ha piegato paesi come la Germania ovest, l’Austria, la Svizzera, la Grecia, l’Italia. Anche Israele verrà a patti col radicalismo crudele e disumano di Habash.

Vada avanti, professore. Torniamo all’Italia.
Ad esserne coinvolti furono i nostri servizi di intelligence (da Giovanni De Lorenzo a Miceli, a Maletti fino a Sportelli e a Giuseppe Santovito), al pari di imprenditori come Mattei, di leader politici come Gronchi, Fanfani e La Pira, lo stesso Moro. Dopo il 1960, posizioni filo-arabe prevalgono nei partiti di sinistra, Pci e Psi un tempo filo-israeliani. Tutti preferirono trattare, applicare la clemenza, in nome di uno scambio — escludere il nostro territorio dalle rappresaglie del conflitto arabo-israeliano — nei confronti del Fplp.

Non possiamo dilungarci, professore, veniamo al punto. Questo libro che cosa replica all’osservazione dei magistrati bolognesi che negano l’esistenza del cosiddetto lodo Moro, come norma di stato, obbligo istituzionale di condotta?
Guardi che i giudici Alfonso, Cieri e Giangiacomo non hanno negato l’importanza  della pista palestinese, cioè il ruolo avuto dalla primula rossa del terrorismo Carlos, dal capo delle Cellule rivoluzionarie berlinesi Thomas Kram e dal responsabile delle cellule armate del Fplp Abu Saleh Anzeh. Hanno sostenuto di non poter agire giudiziariamente perché il lodo Moro non esiste formalmente. E in secondo luogo le accuse su quanto avrebbero potuto commettere Carlos, Kram, Abuh Saleh Anzeh non è eguale a quel che hanno commesso (cioè niente di penalmente configurabile come reato). Insomma questi giudici hanno tenuto a dire che i sospetti e gli indizi non sono prove e quindi sulla base di essi non è possibile, perché sarebbe un’ingiustizia enorme, fare processi ed emettere sentenze di condanna.

Che cosa cambia allora dopo questo libro?
Qualcosa cambia. Il lodo Moro continua a non essere un vincolo istituzionale, ma esso ha avuto una propria valenza perché corrisponde ad un atto emesso in uno stato di necessità, in una situazione se non proprio di guerra certamente di incombente pericolo. E’ quindi vincolante, operativo, anche se non non è formalmente impeccabile. Non può essere formalizzato, ma Cutonilli e Priore dimostrano che in numerose e occasioni è stato applicato da organi del governo.

Più precisamente?

Enrico Cieri non mi ha dato l’impressione di essere un magistrato che lavori subendo la logica dei pregiudizi e ancor meno delle ideologie e dei partiti. Certamente non si lascia influenzare, ma è attento ad affermare con scrupolo  la verità giudiziaria. In questa occasione credo che non potrà evitare di fare i conti, e rapportarsi alla verità storica, che mostra come il lodo Moro abbia funzionato a pieno regime fino all’inverno del 1979.

Ma può citare degli esempi?
La invito a leggere le pagine 48-55, sulla cosiddetta “diplomazia  parallela”. Ci furono riunioni formali al Cairo e alla Farnesina, con dirigenti, nell’ottobre 1973 non solo per liberare dei feddayin, ma anche per stabilire regole di comportamento sullo scambio di prigionieri, la loro impunità e la scarcerazione, l’interruzione degli attentati. Ci sono testimonianze scritte di dirigenti del Fplp, di alti funzionari del Sid (come il gen. Fausto Fortunato, Miceli, Sportelli e altri) e dello stesso Giovannone. Per non parlare del capo dello Stato Cossiga e dei giuristi che hanno preso parte all’elaborazione del lodo. Cioè Luigi Cottafavi, Renato Dell’Andro, Giuseppe Manzari, Leopoldo Elia, del segretario generale della Farnesina Roberto Gaja, di politici come Mario Tanassi  (sempre contrario alle trattative con coi terroristi) ed Erminio Pennacchini. Consiglierei al dott. Cieri di interrogarli.

Colpisce il coinvolgimento così esteso dei nostri servizi in questa vicenda.
Non dimentichi che Stefano Giovannone era un colonnello del Sid e del Sismi con un’audience molto forte a Palazzo Chigi. Posso fare una citazione?

Ci mancherebbe.
La invito a leggere quanto scrive in un’intervista il giornalista Mario Scialoja de L’Espresso, nel gennaio 1980, dell’allora capo del Sid, generale Miceli: “A quell’epoca c’era il pericolo del terrorismo palestinese: una situazione eccezionale che andava affrontata con mezzi eccezionali. Sulla base di precise direttive del governo di cui erano al corrente tutti i ministri, prendemmo contatti con i palestinesi dei vari gruppi e ci accordammo per evitare attentati che coinvolgessero l’Italia”. Mi chiedo se sia ancora possibile continuare a ritenere il lodo Moro soltanto una prassi privata, personale dell’ex ministro e premier Aldo Moro e dei suoi collaboratori.

Come si spiega la strage di Bologna?
Le responsabilità di Fioravanti, Mambro e Ciavardini sono indizi poco convincenti rispetto ad indizi di maggiore rilievo e a carattere internazionale. Come il legame di ferro tra l’Unione Sovietica (interessata a insediarsi nel Mediterraneo, anche attraverso la postazione di Gheddafi a Malta), il terrorismo arabo-palestinese e l’Italia che  è sempre l’anello debole. Posso ricordarle che i missili Strela Sam-7 che gruppi di terroristi di Habash portavano in giro negli aeroporti di Fiumicino, negli alberghi di Ostia, nei porti e nelle città abruzzesi erano di fabbricazione sovietica? Non ho bisogno di ricordare a lei e a questo quotidiano che Carlos, Thomas Kram (il capo delle Cellule Rivoluzionarie di Berlino che fu di casa tra Perugia e Bologna insieme a tutti i principali dirigenti come Weinrich e Christa Margot Frohlich) per non parlare di Abu Saleh Anzeh, hanno lavorato, compiendo assassini e stragi, per il Fplp.

Lei mi pare si stia chiedendo come mai gli indizi per assicurare alle patrie galere i dirigenti neo-fascisti dei Nar siano considerati più interessanti e solidi di quelli che indicano in Bologna (e in generale nell’Italia) un nodo fondamentale di una strategia di destabilizzazione degli equilibri internazionali, a cominciare dal Mediterraneo.
Ho sostenuto esattamente quest’analisi in diversi saggi sulla rivista Nuova Storia Contemporanea. Cutonilli e Priore non li conoscono o li ignorano, ma poco importa perché non sono degli storici. Tuttavia il loro libro colloca la strage Bologna nella dimensione internazionale che lei ha appena accennato.