L’intenzione di procedere ad una commissione di studio sulla presenza di diaconesse nelle prime comunità cristiane, espressamente fatta propria da Papa Francesco, sembra avere riaperto il più ampio dibattito sullo statuto giuridico della donna all’interno dei grandi sistemi confessionali monoteistici.
Si tratta di un tema molto importante e se da ciò dovesse originare una riflessione di largo respiro sarebbe un fatto particolarmente positivo. Ciò nondimeno, rischiamo di sentire, accanto alle buone intenzioni e agli studi approfonditi, anche le inevitabili sirene dei luoghi comuni, delle dabbenaggini e delle approssimazioni. Fenomeni tipici di quando si usa il passato a senso unico: non per interrogarlo, ma per mettergli in bocca ciò che non abbiamo il coraggio di dire al presente.
Per queste ragioni, può essere utile ripercorrere la storia dei personaggi delle Scritture attraverso cui perfezioniamo la nostra comprensione della cultura femminile. Si potrà, forse, giungere finalmente per tale via ad affermare qualcosa di costruttivo a tutela e a garanzia della vera libertà femminile.
Uno dei personaggi più interessanti per cercare di percorrere utilmente questo approccio è senz’altro rappresentato da Maria Maddalena, la devota discepola di Gesù che abbandona il peccato nell’atto di abbracciare la fede. Non seguiremo le orme di una storia così particolare misurandoci coi Vangeli canonici o con gli studi teologici che si sono interessati della Maddalena. Eviteremo soprattutto le estreme semplificazioni — o, talvolta, falsificazioni — che hanno confuso la Maddalena con altri personaggi del Nuovo Testamento o che le hanno assegnato ruoli e significati che non riusciamo a ricavare da un serio confronto con le fonti. Abbiamo letto di una Maddalena al seguito di Cristo all’interno di cornici romanticheggianti che possono anche sciogliere i cuori e dare un tocco di originalità e contemporaneità alle Scritture, ma che non corrispondono affatto al tenore del personaggio e al suo concreto operato. Preferiremo analizzare Maddalena attraverso la raffigurazione offertane da alcuni tra i maggiori artisti italiani: Donatello, Caravaggio, Piero della Francesca.
La “Maddalena Penitente” di Donatello è una scultura lignea del 1455. Sappiamo che il XV secolo non fu particolarmente fortunato per la Chiesa romana, che pure ebbe un ruolo insostituibile nella fioritura delle arti, nonché nella formazione della fisionomia politico-culturale del continente europeo. Nel XV secolo sempre più, anzi, si tende a vedere i segni di quella temperie culturale che porterà allo scisma luterano e alla nascita dei movimenti religiosi protestanti in opposizione al cattolicesimo. Come mai l’artista affermato, genio riconosciuto anche nel suo tempo, decide di dedicare un’opera tanto importante a un personaggio umile, sofferente, affaticato dai digiuni e dall’astinenza? Come mai Donatello non ci regala un’immagine trionfalistica della donna che per prima “sa” della resurrezione di Cristo e, conseguentemente, per prima riceve l’invito ad annunciare la Notizia?  



La sensibilità di Donatello per una ricerca interiore basata sull’essenzialità è nota. Si tratta di un’essenzialità costruita, laboriosa, articolata, non fraintendibile con la superficialità e la sbrigatività. Nella “Maddalena Penitente” possiamo letteralmente contare le rughe del volto, le pieghe del vestito ridotto a straccio, le ciocche stoppose dei capelli. Non si arriva incontro a Cristo col cuore gonfio di sicumera. Per guardare in se stessi è spesso necessario disinteressarsi di come ci vedono gli altri e di come noi ad essi non possiamo che apparire: fragili, sconvolti, riflessivi, affranti. Questa modalità espressiva, basata su un’autenticità che viene dall’esperienza reale, e non dalla sua negazione, appartiene al genio di Donatello. Il Cristo di Santa Croce, oltre quarant’anni prima, rappresenta lo stesso travaglio: è un Cristo che è stato definito “contadino”, è uomo e veramente uomo stremato dal dolore e dal calvario. La morte non prescinde dalla sofferenza del corpo, dal suo deperimento, ma non è essa l’ipoteca della nostra vita: al contrario, è come abbiamo agito e chi siamo stati a darci la misura di come affrontiamo i nostri dolori.
Donatello sembra dirci che non è importante stabilire (o credere) che la Maddalena sia l’adultera e forse prostituta salvata dalla lapidazione. Non ci serve avere un’idea analitica delle donne che nel Vangelo ungono i piedi di Cristo e si prostrano a Lui nell’atto di una lavanda che è radicale rinuncia al proprio orgoglio. E’ più importante avere creduto, è più importante ricordare che nella penitenza bisogna andare in fondo e ancora in fondo. Non al fine di teorizzare flagellazioni o afflizioni, pur storicamente talvolta riscontrate nelle prassi di culto; piuttosto allo scopo di comprendere i propri errori, di guardare al peccato non come alla condanna e al castigo, ma come occasione di riscoperta del bene e del giusto.
La Maddalena Penitente di Donatello non è l’atto di un Maestro che rinnega se stesso e ciò che lo ha reso celebre. Anche se è stato sostenuto che la Maddalena Penitente costituirebbe un gesto di rifiuto e la predisposizione al superamento di ogni radice, nella donna penitente con muscoli e nervi a fior di pelle dobbiamo imparare a vedere la realtà del nostro essere, la continuità tra ciò che siamo e ciò che possiamo diventare. Pico della Mirandola, quando elogia la capacità metamorfica del genere umano, non tratteggia individui che cambiano maschera ogni giorno, ma storie che proprio grazie alla dignità umana prendono forma e si fortificano nell’esperienza e nell’esistenza. Non ci si pente solo di un singolo peccato, di un singolo sbaglio, di un singolo errore… la predisposizione alla penitenza come virtù di introspezione che ci costringe a misurarci con noi stessi è una pratica continua. Non segue gli eventi, è essa stessa “avvento”. 



E’ sbagliato leggere nella “Maddalena Penitente” la fine di qualcosa, il compimento stanco e desolante della vita — o dell’opera di uno scultore. Maddalena ha seguito il Cristo, è stata tra i suoi seguaci più stretti, ne ha ripercorso le peregrinazioni, ne ha seguito la fine terrena. Non importa quanto siano state gravi le sue colpe nel passato. Ha visto, ha creduto e ora può annunciare. Non conta il ruolo formale che le daranno gli uomini nei secoli. Conta riconoscere che è grazie a Lei e alle Sue parole che abbiamo avuto (e avremo nei secoli) notizia del Risorto.

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