Cos’è che lega una città a un santo? Qual è la ragione che induce l’una ad assumere l’altro come suo protettore? Le risposte, ovviamente, possono essere variegate, come varie e talora imprevedibili sono le ragioni del vivere insieme. E tuttavia, fra queste non può mancare quella riguardante la concretezza dell’interesse dei cittadini ad assicurarsi la serenità dei giorni futuri.
La questione non è nuova. Più in generale, essa richiama quella riguardante l’origine di ogni comunità sociale, territoriale e statuale: se fondata sull’astratto consenso dei consociati verso la vera giustizia, come sosteneva Cicerone; ovvero, più realisticamente, se dettata dalla concreta e concorde tutela dei beni “massimamente amati” dagli stessi consociati, come replicava Agostino. Sicché, più che a ciò che è giusto, occorrerebbe guardare a ciò che è utile, giacché è nell’interesse concreto che si giocano e s’incrociano i destini delle comunità e degli Stati (come pure insegna la vicenda della Brexit, il cui esito è derivato dalla contrapposizione fra due opposte valutazioni dei medesimi interessi coinvolti).
Proprio sulla concretezza degli interessi in gioco s’inquadra il legame fra Lecce e San Bernardino Realino. La storia è suggestiva e merita di essere ricordata nell’anniversario dei 400 anni dalla morte del santo, avvenuta il 2 luglio del 1616.
Secondo quanto si legge nella recente biografia di Padre Domenico Marafioti (San Bernardino Realino. Profilo Spirituale, Edizioni Emmanuel, Lecce, 2016), Bernardino era un giovane sensibile, ingegnoso e ambizioso, che dopo aver terminato gli studi di diritto, intraprese la carriera di funzionario amministrativo. Qui si distinse per valore e attenzione alle ingiustizie sociali, al punto che gli fu pure commissionato un manuale sul “buon governo” delle amministrazioni locali. Dopo avere prestato servizio in varie sedi del settentrione, iniziò a prestare la propria opera presso la Corte di Napoli, collaborando con un importante personaggio che di lì a poco sarebbe divenuto Viceré di Sicilia.
Ed è proprio a Napoli che accade un fatto inatteso. Del resto, a volte sembra che basti un niente perché tutto cambi. In senso analogo Andrej Tarkovskij fece dire a uno dei protagonisti del suo film dedicato ad Andrej Rublëv, il grande iconografo russo vissuto all’inizio del XV secolo: “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno — uno sguardo umano — ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”. Accadde, infatti, che, mentre passeggiava per le viuzze strette e piene di gente di Napoli, Bernardino rimase colpito dal comportamento modesto di due religiosi, che passavano raccolti senza badare al chiasso della strada.



Incuriosito, venne a sapere che appartenevano all’ordine della Compagnia del Gesù, fondato da Ignazio di Loyola qualche decennio prima e ancora poco diffuso. Così iniziò a frequentare quella piccola compagnia, guidata da uno dei primi dieci compagni parigini insieme ai quali Ignazio aveva dato vita a un movimento religioso all’epoca inedito e dirompente.
E’ l’inizio di una vita nuova. In poco tempo Bernardino pose fine alla prestigiosa carriera amministrativa. Scrisse al padre una lettera, dove spiegava le ragioni di una tale svolta esistenziale: “Vi do una buona, anzi una buonissima notizia: lascio il servizio del Marchese di Pescara, perché chiamato a servire un Signore da cui spero di ricevere presto contentezza, onore e utili infiniti”; con ciò, per inciso, ricalcando quel brano del Vangelo dove Gesù promette a chi lo segue “la vita eterna e il centuplo quaggiù” (Mc 10, 29-30).
Il resto della lunga vita fu lo sperimentare, stupito, che quel centuplo non è il risultato di un progetto, o di un programma; che ogni opera buona sorge e fiorisce sempre da una cosa che sembra come un niente, qual è uno sguardo, o un’attrattiva verso ciò che rende lieto il cuore. Divenuto gesuita, fu mandato dall’Ordine a Lecce, dove rimase per i restanti 42 anni. Negli anni successivi non fece altro che tenere fisso (letteralmente) lo sguardo della sua vita verso il centro di quell’attrattiva.
Per un verso, nel segreto del suo cammino spirituale fu protagonista di estasi e visioni. Al superiore che gli chiese se aveva mai visto anche sensibilmente la Madonna, Bernardino ormai vecchio rispose: “Non la vedo sempre, ma quasi sempre”. Talora gli accadeva pure “di tenere in braccio il dolcissimo Bambino Gesù”, tanto da essere poi raffigurato mentre parlava con Gesù fanciullo. Di qui gli eventi prodigiosi, i miracoli e le profezie che dispensava verso chi andava a chiedergli conforto per le proprie sofferenze.
Per altro verso, nella sua attività ministeriale, trascorreva tanta parte del suo tempo al confessionale. Accoglieva tutti in modo affabile e cordiale; non rimproverava mai, perché diceva che il medico deve comprendere l’ammalato e aiutarlo a guarire, e non maltrattare chi già sta male. Per il resto, senza ricoprire ruoli di rilievo, frequentava persone di ogni ceto sociale, ponendo fine a storiche inimicizie, sovvenendo alle difficoltà e condividendo le necessità di ciascuno. Il legame con la città si rinsaldò a tal punto, che la costruzione della nuova chiesa, della casa dei confratelli e del collegio fu a totale carico dei tanti benefattori, che liberamente vollero coinvolgersi nelle nuove opere.



Ed è nella familiarità di una tale certezza (Bernardino c’era sempre e per tutti), consolidatasi in modo quotidiano e straordinario nei 42 anni trascorsi insieme, che si arriva alla determinazione più insolita e sorprendente nella storia delle amministrazioni locali. Mentre Bernardino era ormai negli ultimi giorni di vita, stanco e privo di forze, il sindaco insieme a una delegazione dell’amministrazione cittadina si recò al suo capezzale, per chiedergli di diventare dal cielo protettore di Lecce (“Raccomandiamo alle vostre orazioni noi stessi e tutta quanta la nostra città, tanto da voi amata e che sempre vi ha riverito” e “per la vostra grande carità speriamo che abbiate a essere continuo difensore e protettore nostro dal paradiso, quale da ora vi costituiamo in perpetuo. Accettateci di grazia per vostri servi e figlioli”). La richiesta fu addirittura rinnovata. Le precarie condizioni di salute dell’uomo, infatti, non avevano consentito la certezza della risposta tanto attesa. Sicché l’indomani la medesima delegazione si recò nuovamente da Bernardino, insistendo per una risposta chiara. Narrano le cronache che questa volta, “chinando il capo egli mostrò di acconsentire alla loro richiesta”. Al sindaco che chiedeva la protezione della città, egli rispose che l’avrebbe fatto.
Sospesi al miracolo, nella domanda umile, come i bambini più piccoli verso i genitori, quegli amministratori agirono per il concreto interesse della città e delle generazioni successive. Circa quattro secoli dopo, in un diverso e drammatico contesto, don Giussani avrebbe raccomandato: “E’ il tempo del miracolo. Bisogna dire alla gente di invocare i Santi, perché sono stati fatti per questo”.

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