Stiamo trascorrendo settimane scosse, ancora una volta, da episodi come quello di Nizza che, se da un lato vanno ancora chiariti in tanti aspetti fondamentali, dall’altro riportano al centro dell’attenzione il tema dei conflitti, dell’immigrazione e dello scontro tra diversi mondi.
Qualche settimana fa, ho avuto la fortuna di ascoltare una lezione di Lucio Caracciolo, direttore di Limes e grande esperto di geopolitica, che affrontava le tematiche che oggi occupano,sempre più spesso, le prime pagine dei giornali, attraverso una minuziosa analisi storica. “Che cosa vuol dire per un italiano — chiedeva Caracciolo — costruire ponti nel senso dell’interculturalità? Vuol dire semplicemente riportare il Mediterraneo ad essere un circuito e non una barriera. Bisogna però ricordare che abbiamo costruito l’Europa proprio contro questo concetto, cioè partendo dall’idea che l’Unione Europea ci serva per non essere mediterranei, per essere qualcosa d’altro”.
E ancora: “Oggi il mondo mediterraneo e il mondo europeo segnano una linea di faglia fra due grandi macroaree del pianeta: un’area relativamente benestante e ordinata per quanto declinante e un’area conflittuale e caotica. L’Italia è esattamente alla frontiera tra il mondo ricco e il mondo che vorrebbe diventarlo”.
I dati parlano chiaro. Secondo una ricerca delle Nazioni Unite del 2015, l’Europa, dal punto di vista demografico, si sta lentamente esaurendo e assottigliando. I 738 milioni di abitanti dello scorso anno resteranno pressoché invariati nel 2030 (734 milioni) per poi scendere a 707 milioni nel 2050 e addirittura a 645 milioni nel 2100. A questo si aggiungerà, ovviamente, l’invecchiamento della popolazione. Di contro, l’Africa vedrà i numeri salire vorticosamente: dagli 1,2 miliardi di abitanti del 2015 agli 1,6 miliardi del 2030 fino ai 2,47 miliardi del 2050 e ai 4,3 miliardi del 2100. In linea con questo scenario, molti economisti sostengono che per mantenere l’attuale livello di benessere, all’Europa servono 2 milioni e 200mila nuovi arrivi ogni anno. Questo significa, seguendo le riflessioni di Caracciolo, che un milione e mezzo di migranti non possono e non devono mandare in tilt il Vecchio Continente.
“Il risultato di questa pressione relativamente piccola — ha infatti spiegato il direttore di Limes commentando le reazioni alle ondate migratorie degli ultimi anni — perché parliamo di centinaia di migliaia di persone che migrano, è stata la sospensione della libera circolazione attraverso molte frontiere europee. L’approccio europeo è stato da “scarica migrante” sul Paese meridionale più vicino. Lo ha fatto anche l’Italia, che pure è vista come un ponte, non come un obiettivo da quanti puntano al Nord Europa. Da questa parte del Mediterraneo, affrontiamo la presenza dei migranti come se fossero soltanto una minaccia e non anche una risorsa”.
Ed è proprio questo il cambio di mentalità che sembra necessario per spostare la prospettiva da guerra tra posizioni contrapposte (dove da una parte gioca un ruolo strategico la propaganda dell’Isis e dall’altro ci sono i media che creano l’idea di un mondo di terrorismo puro che avanza) a una visione del mondo del futuro dove sia non solo possibile convivere, ma addirittura necessario e positivo per entrambi. “Non dobbiamo farci invadere — ha poi concluso Caracciolo — dalla paura che fa crescere le intolleranze e le xenofobie. Se l’Europa e l’Italia devono avere un futuro non possono che averlo con e nel Mediterraneo. Ognuno di noi deve impegnarsi quotidianamente con un obiettivo: ricostruire un circuito mediterraneo nel quale le genti, le merci, i capitali e le idee possano riprendere a muoversi liberamente”.
Oggi, più come mai, come cittadini italiani ed europei abbiamo di fronte a noi il bivio che può cambiare il nostro domani. Il Mediterraneo: opportunità o rischio? Se vincerà la paura e l’assenza di dialogo, il nostro futuro sarà sempre più incerto e pieno di scontri. La nostra speranza? I giovani di entrambe le parti, i circuiti e non le barriere.