Pokémon go è la meta che accomuna, a quanto pare, giovani ed adulti, tutti alla caccia di Snorlax o meglio Dragonite, tutti tesi ad arrivare al livello 5, e da lì iniziare a giocare in un Pokemon team. E se per gli adulti, o perlomeno per la maggior parte di essi, si tratta di cacciare territori conosciuti, quelli bazzicati per lavoro, o di qualche loco ameno in pause mordi e fuggi, tutta un’altra faccenda per gli adolescenti, in beata, serena, totale vacanza.
Dopo aver fatto i bagagli per andare dalla nonna in campagna, dall’amica al mare, con la squadra di calcio al ritiro nei monti, con il campo estivo o l’oratorio in qualunque località, con altri coetanei in una qualche località dove si parli la lingua di Albione (la più ambita), o la lingua di Robespierre, Cervantes o Goethe, praticamente ogni teen dotato di smartphone (sembrerebbe tutti, dai nove anni in su, e quindi anche pre-teen) lo punta a nord, sud, est, ovest, sud-ovest, sud-est, nord-ovest, nord-est, e se possibile anche nella terza dimensione, non per la foto che lo immortalerà con la ragazza o ragazzo che ha acceso il suo cuore, o per quell’angolo di NYC o di London, o di Melbourne, ma per acchiappare il tanto desiderato Pokemon. Ed intanto, grazie a Messenger Pokemon go, si chatta con messaggi flottanti con gli altri giocatori.
Che il fenomeno abbia risvolti economici importanti è fuor di dubbio, e non solo per la Nintendo, che ha visto aumentare il proprio titolo in brevissimo tempo del 120 per cento; l’affare è ghiotto, ghiottissimo, per i Pokemon spot, i luoghi dove catturarli, sparsi ovunque nel mondo (nel prato di fianco al mio edificio, in una rispettabilissima università canadese, ne sono stati trovati tre), con tanto di consigli sulla rete su come trasformare il proprio essere un Pokemon spot in un’incredibile occasione di guadagno. Basta segnalare sulla porta “Pokemon spot”, ed ecco arrivare folle di ragazzini (e non solo) che entrano e spendono, acquistando di tutto e di più, e mangiando e sorseggiando poche amate prelibatezze, reperibili solo nella cucina o al bancone delle più “blasonate” catene. Nella sempre rispettabilissima città canadese dove si trova l’altrettanto blasonata università un cartello pubblicitario davanti ad un modestissimo London Drugs (leggasi supermercato che vende di tutto e un po’) recita a caratteri cubitali, proponendo dei charger esterni per cellulare, STAY CHARGED TO CATCH’EM ALL, restate carichi per acchiapparli tutti, con il simpaticissimo Picachiu a far ciao ciao da uno dei suddetti charger.
E con i miei occhi ho visto più di un adolescente puntare il cellulare in direzioni dove non mi pareva di intravedere nessun monumento o grattacielo, o scorcio di monte o oceano, o procione, o gabbiano, o anatra, o volatile non identificato, o anche esemplare femminile o maschile (umano) degno di nota; il cellulare puntava verso il Pokespot, ovviamente per catturare il Pokemon. In quella occasione sono stata salvata da una pessima figura (tipo suggerire “dear, the ocean’s on the other side, caro/a, guarda che l’oceano è dall’altra parte”) dalle dritte di taluni adolescenti, anche loro attualmente con me nel regno del maple syrup e del mousse, e da quelle dei miei figli, e badate bene, non solo i due adolescenti, ma anche i maggiori. Rispettivamente al livello 6, 4, 5 e (mi pare) 6 dei Pokemon. Sono ovviamente disponibile a rettificare qualsiasi affermazione relativa ai loro livelli e che possa danneggiare la loro reputazione di Pokemon trainers.
A scanso di equivoci, no, non ho scaricato la app, e no, non ho neanche censurato l’uso della stessa nel corso della giornata; le figlie maggiorenni ignorerebbero lo strale della dea (la mamma) con serafica superiorità in ogni caso e dubito che anche i minori sottostarebbero a comandi impartiti dall’altra parte del globo (ovviamente attraverso il gruppo familiare su whatsapp) dalla genitrice. Il Pokemap (il Google maps dei Pokemon) pullula di localizzazioni di Pokemon, gli adolescenti sono smartphone dipendenti tanto quanto noi adulti; proibire, sanzionare, eliminare? Ad essere sincera, il pensiero di imporre che la app venga disinstallata, nel loco ameno dove mi trovo o in quello di provenienza, non mi ha neanche sfiorato. Ma come opporsi al potere della realtà aumentata? Con la realtà del viaggiare.
Con cosa “rima” viaggio, che anche l’adolescente dotato di smartphone intraprende? Con ricerca, evasione, fuga, riposo, fatica, divertimento, scoperta, esplorazione, stanchezza, soddisfazione, compagnia (di cose ma soprattutto di persone); non occorrono app, ma tutto il resto di sé è indispensabile, o almeno una cosa mi appare indispensabile, la curiosità. Ma non come dote innata solo di alcuni, o prodotto culturale di un’educazione più raffinata, sempre per pochi, ma quella che il Pokemon trainer si (ri)accorge di possedere (e si accorge anche lui o lei, ve lo assicuro) quando, nel mezzo del cammin di nostra gita, un inaspettato “qualcosa” fa girare lo smartphone in una dimensione inaspettata, cioè non attesa.
Un gabbiano (sciocco) che becchetta sul vetro chiedendo cibo, la baia che si allarga dall’alto del monte e i mille azzurri e blu di oceano e cielo, un’aquila dalla testa bianca che compie un giro più largo nel cielo, l’acqua che sul bordo dell’oceano passa rapidissima dalle caviglie al petto, la corsa a gruppi nel parco la sera, le facce imbrattate di colore nel gioco, le muse di Picasso (le sue donne), la virata rapida del gommone, il fuoco del camp fire, i piedi sospesi sul lago blu sulla seggiovia ferma, le forme dapprima strane e poi affascinanti dei totems delle First nations, il sorriso di chi distribuisce hot dogs at the beach BQQ, le chiacchiere nella common room o meglio sul prato davanti, i colori incredibili di un ghiacciaio-monte-foresta-lago-cielo che sembra non dover aver mai fine.
Ognuna di queste cose ha distolto smartphone, occhi e cuore da tutto (Pokemon compresi) verso se stessa. In particolare una; giro in barca, percorso sonnolento nel fiume dopo le virate al largo della baia, paddle boarders in abbondanza, tutto “normale” dopo aver visto enne paddle boarders per enne giorni in ogni specchio d’acqua atto allo scopo. Ma uno è diverso, nel gruppo di amici che la barca affianca; tavola più ampia, sopra una carrozzina e nella carrozzina, un ragazzo che pagaia.
Pokemon 0, vancouveriano ignoto 1.