Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto del saggio di Rony Hamaui, “Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazioni”, Introduzione di Gad Lerner, il Mulino 2016.
L’ebraismo milanese oggi conta oltre una quindicina di luoghi di culto frequentati più o meno regolarmente dai fedeli. Sinagoghe che soddisfano le più diverse esigenze religiose, rituali, etniche e culturali: si spazia dal rito italiano a quello ashkenazita o sefardita, dai templi che raccolgono persiani e siriani a quelli guidati dai Chabad o dai Reform. Tre sono invece le scuole ebraiche, che accolgono bambini e ragazzi dalla scuola materna ai licei, in cui l’offerta formativa è ricca e articolata sotto l’aspetto sia culturale sia religioso. Molti di più sono i centri di studio, i circoli culturali, le organizzazioni giovanili e le associazioni ebraiche, (…) che rendono il patrimonio socioculturale dell’ebraismo milanese ricchissimo, come mai lo era stato nei secoli precedenti. Ogni settimana la lista di conferenze, convegni e iniziative di vario genere a sfondo ebraico è quanto mai lunga.
(…) Un’indagine recente ha mostrato come gli ebrei milanesi, grazie a un maggiore e migliore accesso a strutture educative e culturali ebraiche, inclusi giornali e social media, hanno un livello di conoscenza e consapevolezza della loro condizione molto più elevato di quello in possesso delle generazioni passate. Particolarmente efficace sembra il sistema delle scuole ebraiche, dato che il numero dei frequentanti e degli anni trascorsi in esse è molto elevato, soprattutto tra i ragazzi del ceto medio.
Questo non significa che gli ebrei milanesi siano particolarmente religiosi o praticanti, anche se negli ultimi anni l’osservanza ai precetti sembra essere aumentata soprattutto tra i giovani (il 36% si dichiara più osservante dei propri genitori, mentre solo il 28% meno osservante) e le differenze fra le diverse componenti dell’ebraismo milanese rimangono piuttosto marcate. Israele è diventato per la stragrande maggioranza un punto di riferimento e una componente imprescindibile dell’identità ebraica, seppure con marcate differenze di giudizio sull’operato dei suoi governi sulla laicità dello Stato. Diffusa è invece tra gli ebrei milanesi l’opinione che l’informazione relativa a Israele sia insufficiente e distorta e che le critiche allo Stato ebraico siano spesso eccessive, se non infondate.
Questo forte senso di appartenenza all’ebraismo, peraltro, si sposa nella stragrande maggioranza dei casi con un forte senso di italianità e con un solido legame con la città nella quale vivono, che sempre più spesso corrisponde alla città nella quale sono nati. Quest’ultimo aspetto è una forte novità per la Milano ebraica, che, per la prima volta nella sua storia da oltre mezzo secolo, non accoglie forti correnti migratorie, ma, anzi, vede il numero delle partenze superare largamente il numero dei nuovi arrivi.
Molto alta, soprattutto fra le nuove generazioni, è la percentuale di laureati, mentre il tasso di disoccupazione si mantiene relativamente basso nonostante la crisi. Ciò non vuol dire che negli ultimi anni non siano aumentate le sacche di povertà o di bisogno, ma queste sono contenute e soccorse da una rete di assistenza e solidarietà non solo familiare.
In termini sociologici possiamo concludere che gli ebrei milanesi in larga misura si possono considerare “integrati” (forte attaccamento al proprio gruppo e alla società che li circonda), mentre solo una minoranza relativamente importante può definirsi “separata” (forte attaccamento al gruppo e basso attaccamento alla società) o “assimilata” (basso attaccamento al gruppo e alto attaccamento alla società).
A fronte di questa ricchezza culturale e maggior consapevolezza la Comunità ebraica di Milano si presenta spesso divisa, rissosa e caratterizzata da forti conflitti fra le diverse anime che la compongono. Se l’ebraismo milanese di origine italiana aperto al mondo civile era riuscito a integrarsi senza frizioni con quello ashkenazita, la convivenza con gli ebrei sefarditi provenienti dai paesi arabi, più ortodossi e chiusi, è risultata più complessa e difficile. Motivi di ordine culturale e storico spiegano queste difficoltà che, peraltro, sono andate col tempo attenuandosi. Una riprova di queste divisioni la si ritrova nei continui cambiamenti delle maggioranze che reggono i vertici della Comunità e della frequente chiamata alle elezioni, coronata recentemente nella nomina di due presidenti.
Le radici profonde di questa spaccatura risiedono nella natura dell’identità ebraica (…), centrata sulla consapevolezza di appartenere a una comunità, a un popolo, alla storia famigliare e a tradizioni che scandiscono la vita.
Comunità di vita, dunque prima ancora che d’idee e principi: il richiamo ai valori morali e al sentimento religioso sembra, in effetti, seguire questo fondamentale legame esistenziale, mentre il riferimento alla dimensione stretta dell’osservanza viene ancora dopo.
La minaccia più seria alla sopravvivenza della Comunità ebraica di Milano viene dalla sua demografia: negli ultimi vent’anni gli iscritti sono calati del 15% a causa del basso tasso di natalità, del continuo processo d’invecchiamento e dell’alta percentuale di matrimoni misti e del conseguente processo di assimilazione. Negli ultimi anni poi, come abbiamo accennato in precedenza, la crisi economica e il desiderio di creare una famiglia ebraica hanno indotto alcune famiglie, soprattutto persiane, e molti giovani a lasciare il paese alla ricerca di migliori opportunità in Israele, negli Stati Uniti e nell’Europa del Nord. Per spiegare questo dato, influente appare anche il nuovo quadro legislativo che dall’inizio degli anni Ottanta, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, ha reso non più obbligatoria l’iscrizione alla Comunità. Infatti, se allora oltre l’80% degli ebrei residenti a Milano decise liberamente di rimanerne membro, oggi recenti stime indicano che tale percentuale sia diminuita a poco più del 70%.
L’effetto combinato di questi elementi fa sì che oggi la percentuale della popolazione ebraica milanese sotto i 18 anni (11%) sia meno della metà di quella sopra i 66 anni (27%), mentre gli ultracinquantenni rappresentano quasi la metà degli ebrei milanesi. Milano, inoltre, come altre città italiane, presentava già all’inizio degli anni Settanta una percentuale di matrimoni misti molto elevata, pari a circa il 70%. Da allora la situazione non è certo migliorata, così che è probabile che oggi tale percentuale si aggiri attorno all’80%.
A spiegare questi dati vi sono, oltre al numero relativamente basso di ebrei residenti nel capoluogo lombardo, il loro forte grado d’integrazione nella vita sociale e produttiva e il continuo processo di secolarizzazione che ha interessato la popolazione non solo ebraica. Persino gli ebrei provenienti dai paesi arabi, che all’arrivo presentavano un’alta percentuale di matrimoni endogamici, hanno vissuto un fisiologico livello d’integrazione. La forte crescita dei matrimoni esogamici pone evidentemente forti problemi all’ebraismo milanese e acuisce le tensioni interne legate ai processi di conversione, diventati più severi negli ultimi anni in ottemperanza al recente atteggiamento fatto proprio dall’ebraismo ortodosso mondiale. In effetti, una recente ricerca condotta tra i membri della Comunità milanese mostra come la maggior critica che gli iscritti milanesi rivolgono agli organi della propria Comunità sia l’eccessiva rigidità nell’osservanza dei precetti religiosi oltre all’alto grado di conflittualità. La composita origine dei suoi membri, assieme a diversi modi di intendere l’ebraismo, sono certamente importanti spiegazioni di questi fenomeni. Stime recenti indicano che poco meno del 15% degli ebrei italiani non lo siano dalla nascita ma provengano da processi di conversione spesso molto impegnativi. Tutto ciò mostra come la stessa sopravvivenza della Comunità ebraica milanese sia messa in discussione dal combinato effetto dei bassi tassi di natalità, dall’alta percentuale di matrimoni misti e dalla difficoltà di trasmettere i valori della cultura ebraica in una comunità fortemente integrata con la società civile (…).
Il processo d’integrazione degli ebrei milanesi osservato negli ultimi decenni è stato evidentemente favorito anche da un clima di sostanziale tolleranza e in qualche caso di ammirazione nei riguardi degli ebrei, ma sebbene l’antisemitismo non sia certo radicato, soprattutto in alcune fasce della società, negli ultimi anni appare in crescita.
Anche se la maggioranza degli italiani non ha mai avuto contatti con un ebreo, molte indagini dimostrano come in vasti strati della popolazione permanga nei confronti degli ebrei un diffuso pregiudizio: infatti il 10-15% mostra un viscerale sentimento antisemita, mentre un altro 45-50% manifesta espliciti o impliciti segni di ostilità verso gli ebrei. Questo dato colloca l’Italia in una posizione intermedia fra le nazioni europee più tolleranti come Inghilterra e Germania e quelle più antisemite come Ungheria e Francia. Una recente indagine finanziata dall’Unione europea ha poi mostrato come, sebbene gli ebrei italiani non considerino l’antisemitismo il loro principale problema (ben più sentiti sono la disoccupazione, la corruzione, lo stato dell’economia, la criminalità e l’immigrazione), più della metà degli intervistati consideri l’antisemitismo un problema e 7 su 10 ritengano che negli ultimi cinque anni il fenomeno si sia acuito. Internet, graffiti e media sono i principali canali attraverso cui l’antisemitismo prende forma come risultato, spesso, di pregiudizi politici o ideologici. Poche sono le violenze o le discriminazioni subite in anni recenti dagli ebrei italiani, in particolare da quelli residenti a Milano, che si dimostra quindi una delle città più tolleranti, o almeno uno dei luoghi dove gli ebrei si sentono più al sicuro.
Certamente il massiccio arrivo d’immigrati di religione musulmana dal Nordafrica e dal Medio Oriente potrebbe cambiare questo scenario. Tuttavia oggi possiamo con soddisfazione osservare come la maggior parte delle forze politiche sia di centrodestra sia, più recentemente, di centro-sinistra offrano concreti segni di solidarietà alla piccola Comunità ebraica milanese e ne riconoscano il contributo fornito non solo alla città ma all’intero paese. Questo sostegno, come insegna la storia bimillenaria del capoluogo lombardo, pur non essendo una condizione sufficiente per lo sviluppo della Comunità ebraica, è certamente una condizione necessaria per la sua sopravvivenza.