Il 30 gennaio 1972 tra le immagini drammatiche del massacro compiuto dai soldati dell’esercito britannico nella città nordirlandese di Derry, e che fecero subito il giro del mondo, una destò particolare impressione: quella di un prete che sventolava un fazzoletto bianco e che cercava di portare in salvo un ragazzo ferito, camminando curvo sotto il fuoco incrociato dei parà inglesi. Era il Bloody Sunday, la terribile domenica in cui vennero assassinati quattordici pacifici dimostranti per i diritti civili nell’Irlanda del Nord, la tormentata provincia ultimo avamposto dell’impero britannico, la cui componente cattolica e repubblicana rivendicava da tempo libertà e giustizia.
Quel giorno a Derry i manifestanti, pacifici, disarmati, molti dei quali erano con i propri nuclei familiari, chiedevano solo diritti civili, marciando nelle strade del loro povero quartiere, e vennero travolti dall’assalto armato dei soldati in assetto di guerra. Il prete si chiamava Edward Daly, aveva trentotto anni ed era il curato della cattedrale di St. Eugene, situata nel Bogside, il grande ghetto cattolico allora costantemente sotto assedio da parte dei militari britannici, della polizia dell’Ulster — la famigerata Ruc — e dei paramilitari unionisti.
Monsignor Daly è morto lunedì all’età di 82 anni. Di Derry era stato per circa vent’anni anche il vescovo, dal 1974 al 1993, quando fu colpito da un ictus e dovette rinunciare — a soli sessant’anni — al suo magistero episcopale. Una volta recuperate sufficienti energie, monsignor Daly si dedicò al compito di cappellano dell’ospedale. Il suo motto episcopale era stato “pasci le mie pecore”, e si può dire che fin dagli anni in cui era un semplice curato questo fosse stato il suo programma di vita. Parroco e poi vescovo negli anni più tremendi dei “Troubles”, padre Daly era sempre stato vicino al suo povero gregge tormentato. Vicino ai prigionieri politici, testimone dello sciopero della fame del 1991, vicino alle difficoltà di chi era privo di lavoro, vicino persino alla squadra del Derry City, che per i cattolici della città rappresenta quello che è il Celtic in Scozia. Nato nel Donegal, nel territorio della Repubblica, padre Daly era diventato una vera e propria icona del Bloody Sunday e delle condizioni drammatiche dell’Irlanda del Nord.
L’attuale vescovo di Derry, Donal McKeown, ricordando il suo predecessore ha sottolineato che monsignor Daly si dedicò al suo ministero senza risparmiarsi mai. Lo stesso coraggio che lo aveva portato quel giorno terribile a correre sotto il fuoco britannico per portare aiuto ai feriti, lo aveva sostenuto in seguito nel suo compito di pastore. Monsignor Daly, che era un grande comunicatore, non si limitò ad occuparsi della sua diocesi, ma collaborò con la Rte, la televisione irlandese, nella produzione di programmi religiosi. Dopo il suo ritiro precoce dall’attività pastorale, continuò a scrivere e pubblicare libri.



Quello che era stato “il prete del Bloody Sunday” entrò in alcune delicate controversie ecclesiali. Pur senza voler mettere in discussione il celibato sacerdotale, propose di prendere in considerazione l’ipotesi di ordinare al sacerdozio uomini sposati, una presa di posizione che fu sostenuta dall’Association of Catholic Priests, un sodalizio clericale irlandese molto discusso, su posizioni iperprogressiste e spesso “attenzionato”dalla Congregazione per la dottrina della fede. Posizioni che peraltro non furono mai sposate da monsignor Daly. Nella Chiesa irlandese attuale, con le sue ferite e le sue gravi difficoltà, Daly resta tuttavia un esempio di dedizione e di amore al proprio popolo.

Leggi anche

SCENARIO GERMANIA/ Perché c’è un “ex” Paese che vota fuori dagli schemi?STORIA/ Elezioni universitarie del ’75, lo spartiacque tra realtà e ideologia