Gli attentati delle settimane passate ci dimostrano che quel conflitto senza volto in cui l’Europa non avrebbe mai voluto trovarsi, sta permeando sempre di più la nostra realtà. Nei giorni passati abbiamo visto realizzarsi non solo per la prima volta un attentato dell’Isis in Germania, ma anche per la prima volta in una Chiesa in Europa, come a Rouen. Certamente, per la maggioranza degli europei, anche musulmani, non si tratta di una “guerra religiosa” tra cristianesimo ed islam, la quale determina la retorica dell’Isis e dei jihadisti, ma anche dei nuovi populismi in Europa che fomentano un clima di sospetto verso gli immigrati. Ogni attentato diventa così una sorta di “gara” tra chi per primo possa attribuire responsabilità all’Isis: l’Isis stesso o i partiti radicali europei?
Ciò dimostra che ormai qualsiasi attacco, sebbene senza collegamento concreto con l’Isis, si lascia integrare in un quadro terroristico che mira alla divisione e radicalizzazione della società, e con ciò alla distruzione di quei “valori occidentali” a cui l’islam radicale nutre un odio così profondo. Ormai, l’Isis raggiunge il suo obiettivo, un’Europa della paura, anche senza attacchi diretti. Attraverso queste dinamiche, si crea un volto del “nemico” che potenzialmente si identifica con ogni persona “straniera”.
È proprio questa dinamica che Angela Merkel ha cercato di evitare quando recentemente ha presentato un programma politico su come affrontare la sfida del terrorismo che prevede un’intensificazione di indagini, controlli e di misure d’integrazione. Non è riuscita però a convincere i suoi critici: mai la giusta via di mezzo tra libertà e sicurezza è così difficile come nei tempi di attacchi terroristici. E se ora Le Monde e altri giornali francesi non pubblicheranno più le foto degli attentatori per non contribuire alla loro glorificazione da parte degli islamisti, contribuiranno proprio così alle paure nei confronti di ogni volto arabo o africano.
Una volta accertato che gli attentatori sono persone concrete che in quanto tali non sono da identificare con l’islam, ma piuttosto oscurano il suo “volto” nel mondo, è altrettanto chiaro che in questo momento storico l’islam ha un problema con la violenza e con il radicalismo religioso, in una parola con il fondamentalismo. Certamente, il fondamentalismo islamico non è da identificare con l’islam stesso, che come ogni religione condanna la guerra. In questo senso Papa Francesco ha ragione quando afferma che non sono le religioni a condurre questa guerra. Ciononostante quest’affermazione mette luce solo su una metà del problema, perché certamente si tratta di una “guerra a pezzi” che ci viene imposta con i simboli di una precisa religione, e attacca i simboli del cristianesimo e della cultura occidentale. Religioni vengono strumentalizzate, e la questione quindi è come si possa evitarne la strumentalizzazione e favorire l’integrazione. E tale, senz’altro, è una domanda da porre anche alle religioni e soprattutto all’islam.
Papa Francesco ha cercato, con la sua affermazione, di strappare il potere di definizione su che cos’è la religione agli estremisti, evidenziando che il nucleo di ogni religione è la pace. De-politicizzando così la religione, ha indicato come luogo di conflitto piuttosto la sfera politica, quando ha aggiunto che “c’è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli”. Questo riferimento alla politica deve essere però ulteriormente approfondito: perché anche la politica ha i suoi meccanismi per evitare che gli interessi, i soldi, la brama del potere ecc. portino alla guerra.
Questi meccanismi sono ad esempio lo stato di diritto, la democrazia, e specificamente in riferimento alla pace delle religioni lo stato secolare e neutrale. In altre parole, il mancante riconoscimento del “volto umano” di ogni persona, che ha valore assoluto a prescindere da qualsiasi religione, diventa per le religioni un presupposto indispensabile per evitare la loro radicalizzazione fondamentalista.
Per questo motivo, è senz’altro importante che in occasione degli ultimi attentati i leader musulmani li abbiano condannati con parole più chiare che in passato, e che per il 31 luglio abbiano invitato la comunità musulmana a partecipare alle messe cattoliche come segno della loro solidarietà. Ma fin quando mancano affermazioni chiare sulla democrazia e i diritti secolari e quindi una chiara distinzione tra religione e politica anche da parte del mondo musulmano, come presupposto per una vera integrazione dei cittadini di fede musulmana in una società civile secolare, purtroppo non esiste un vero meccanismo per distinguere il volto singolo del “terrorista” da quello del “credente musulmano”.