L’altro giorno mi è capitato di chiedere all’amico Aldo Colonetti, filosofo e storico dell’arte e del design, se avesse voglia di raccogliere, per un lavoro al quale stavo collaborando, alcune riflessioni di Gillo Dorfles, artista, pittore, filosofo estetico, suo maestro di studi e tanto altro ancora, sul tema dei valori e dei pensieri da portare nei prossimi cento anni. Dorfles ha compiuto quest’anno 106 anni e rappresenta per intelligenza, cultura, esperienza, sensibilità, un interprete attento della nostra storia nell’ultimo secolo. I suoi pensieri sono come sempre illuminanti. Colonetti lo ha definito una sentinella del nostro futuro e credo che la definizione sia assolutamente calzante ed esaustiva. “La storia — ha ricordato Dorfles — è sempre con noi, anche se siamo condizionati continuamente da nuove tecnologie che trasformano il mondo, tutti i giorni, sotto i nostri occhi. Cent’anni per la storia dell’umanità sono pochi, per una persona, soprattutto se ha vissuto e vive tra l’inizio del secolo scorso e questo nostro presente, questo periodo di tempo non è solo lungo, è probabilmente il più ricco di trasformazioni, invenzioni, scoperte, ma anche contraddizioni che la storia dell’umanità fino ad ora ci ha mostrato. Chiedersi cosa porterei con me nei prossimi cent’anni significa fare delle scelte, rispetto alla vita di ciascuno di noi; in un certo senso imporre anche agli altri ciò che mi è stato più vicino e utile”.
Da che cosa partire allora? “In primo luogo — dice Dorfles — tutte le grandi scoperte della medicina che ci ha consentito di sopravvivere al consumo del tempo; ma anche tutte le  straordinarie invenzioni della tecnologia rispetto al viaggiare e al trasporto, treni, aerei e soprattutto l’automobile, vero protagonista per vivere concretamente e da vicino la libertà di movimento e di pensiero. Come sarei potuto andare, solo due anni fa, in Cornovaglia, a visitare la fondazione della mia amica, grande scultrice, Barbara Hepworth, senza il lento e progressivo avvicinamento in auto. La scelta di poter scegliere il lento o il veloce, ecco una grande conquista che vorrei portare con me nei prossimi cent’anni!”
E poi? Ma il cibo naturalmente! “La scoperta che il cibo è una delle espressioni culturali più importanti per comprendere le diverse civiltà — ricorda Gillo Dorfles — appartiene alla grande intuizione di Claude Lévi-Strauss, con il suo Il crudo e il cotto (1964) ma allo stesso tempo ci ha permesso di sperimentare gusti, piatti, accostamenti, prima impensabili. Dobbiamo portare con noi questa straordinaria biodiversità, anche se personalmente berrò sempre vino rosso e, in particolare, il Cannonau sardo, anche nei prossimi cent’anni, mettendo alcune gocce di buon aceto sul pesce. Anche queste forme di libertà sono da portare con noi nella prossima vita futura!”.



Straordinarie anche le riflessioni sul conformismo: “Certamente — ha ricordato Dorfles — la libertà di vestirsi e di accostare colori e forme diverse fa parte non solo di una serie di movimenti libertari del secolo scorso, ma rappresenta una conquista che è necessario mantenere, per evitare la logica della ‘divisa’ e del conformismo. Come ho scritto in un mio piccolo saggio, dedicato ai conformisti, cerchiamo di evitare di portare nel prossimo secolo alcuni atteggiamenti che hanno dominato i nostri ultimi decenni: è l’anonimo protagonista dei villaggi-vacanze, ed è lo stesso che si mimetizza, snob tra gli snob, nella spiaggia più esclusiva. Ai funerali applaude appena esce la bara. Al concerto di musica classica agita la mano come fosse lui a dirigere l’orchestra. Speriamo in bene di non ritrovarli nel prossimi cent’anni”.
E, per andare verso la fine, le considerazioni sull’eclettismo. “Ho sempre amato l’eclettismo — ricorda Dorfles — contro un’arida specializzazione che crede di trovare la verità nelle specializzazioni; certamente quest’ultime sono fondamentali per risolvere le questioni pratiche del vivere quotidiano, ma dobbiamo essere sempre aperti alla curiosità, perché risiede in ciò che non conosciamo la ragione di guardare sempre avanti, anche rischiando percorsi inconsueti e non facilmente prevedibili. Nella mia vita, gli incontri più interessanti che mi hanno fatto comprendere che il futuro appartiene a tutti e tutti possono essere protagonisti, appartengono a uno sguardo rivolto al di fuori dei tradizionali recinti delle accademie e dei saperi costituiti, forti e restii a comprendere il ‘nuovo'”.
La chiusura è una vera illuminazione e un monito per provare a costruire il futuro: “E’ necessario portare con noi questa curiosità — conclude Dorfles — sempre e non solo nei prossimi cent’anni, altrimenti ci potremmo trovare, in un prossimo futuro, in un sorta di  nuovo stato ‘primitivo’. E’ meglio una consapevole approssimazione che affidarci alle certezze di  saperi ‘preconfezionati’, viviamo in mezzo all’approssimazione, diremmo quasi che senza approssimazione la nostra vita diventerebbe impossibile e ancora di più la nostra arte. Allora guardiamo in avanti, non temendo di sbagliare, perché l’errore mostra tutta l’umanità di cui siamo capaci. Anche nei prossimi cent’anni, porteremo con noi la certezza dell’errore; basta saperlo cogliere, aprendo la conoscenza al mondo senza preclusioni, ma con una sana consapevolezza che l’approssimazione, per noi umani, è una forma di verità”.
Grazie maestro per i pensieri e grazie Aldo per averli raccolti!

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