Quando per la prima volta intervistai Ernst Nolte, sul finire degli anni Novanta, il suo albergo milanese era presidiato dalla polizia. Fuori, un manipolo di contestatori alzava la voce contro il suo “revisionismo”. Nessuno, immagino, dava al termine un significato storiografico. La questione era politica. Anzi, ideologica. Nei dibattiti sommari, molti dei quali ospitati da autorevoli giornali, lo si spacciava come “giustificatore” delle nefandezze del nazionalsocialismo. Pochi avevano letto la sua opera più importante e famosa, Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945. Tanti tuttavia traevano conclusioni avvelenate e giudizi sommari.
Dalla metà degli anni Novanta per quasi un decennio la questione del “revisionismo” è stata al centro della polemica politica ed essere considerati “revisionisti” ha costituito una sorta di marchio d’infamia per uno storico. Poi la questione ha perso d’importanza, svanendo tra mille altre polemiche, a loro volta inabissatesi nel mare delle discussioni a vanvera.
Tuttavia l’opera storiografica di Nolte si colloca nella storiografia novecentesca come una pietra miliare, una provocazione all’intelligenza storica, al pari dell’opera di Renzo De Felice e di François Furet. Nazionalsocialismo, fascismo e comunismo, attraverso la tappa inevitabile al cuore dell’Ottantanove francese nella sua realizzazione roberspierriana, in questi tre storici, spesso vilipesi e boicottati, hanno perso quella patina un poco vaselinica di un politically correct che anzitutto metteva a posto le coscienze dei sopravvissuti e dei loro nipoti (con le loro comode categorie interpretative), pronte ad accomodare il passato ad uso del presente.
Ma dove stava la questione cruciale, quella che non piaceva, che bruciava come quando si passa sulla pelle la cartavetra? La questione stava tutta nelle parentele. La domanda cruciale di Nolte era la seguente: “L’arcipelago Gulag non fu più originario di Auschwitz? Non fu lo sterminio di classe dei bolscevichi il prius logico e fattuale dello sterminio di razza dei nazionalsocialisti?”.
Questa era la questione innominabile, inaccettabile, quindi esecrabile, per i benpensanti del pensiero cosiddetto democratico. Nolte, De Felice e Furet hanno messo in luce questa sorta di genetica ideologica che conduceva al cromosoma rivoluzionario che aveva messo fine all’antico regime, abbattuto la Bastiglia e si riproponeva di rigenerare, attraverso la politica e la ghigliottina, l’uomo nel suo intimo, nella sua essenza.
Siamo nel cuore dell’ideologia. Quel che la Rivoluzione francese non era riuscita a compiere anche grazie e Napoleone, lo compirà la Rivoluzione russa. “L’ideologia nel 1917 va al potere — mi diceva Nolte nel 2001 in occasione di un’intervista per il Giornale di Brescia — con la sua forza attrattiva, che travalica i confini della Russia e diviene universale, affascinate e terribile, terribile perché affascinante”.
E’ sul terreno dell’ideologia che si sviluppa la cosiddetta “guerra civile europea” che ha il suo apice nel secondo conflitto mondiale. Due astrazioni diaboliche, che si influenzano a vicenda e insieme di allontanano, che hanno una radice comune e rami e fronde assai lontane, cercano e trovano le ragioni della loro stessa esistenza nel futuro che intendono preparare e di cui si sentono intimamente portatrici, attraverso l’uso sistematico dello sterminio. La lotta non è più rivolta ad un re, ad un esercito, ad uno stato, ma a universi umani incompatibili con la missione originaria. Rendere il mondo più bello attraverso l’uso sistematico della morte. Qui c’è Robespierre, l’incorruttibile, l’asceta, il perfetto.
L’ultimo Nolte faceva tuttavia i conti con la caduta del muro di Berlino. A poco più di dieci anni da quell’evento, accertata e celebrata la fine dell’Europa delle ideologie, si soffermava sui pericoli che il vuoto portava con sé. Guardava a Nietzsche e “all’uomo ultimo” che non ha più stelle e che vive nella mediocrità assoluta. Una condizione che potrà essere solo transitoria. Perché l’uomo anela a cose grandi. E nel vuoto diabolico anche le grandezze assumono forme diaboliche. “Verrà un giorno — mi diceva Nolte 15 anni fa — in cui si manifesterà la volontà di fare qualcosa di grande, di importante, di uscire dalla mediocrità. Tutto ciò sarà prepotente e produrrà effetti che non conosciamo. Una sorta di violenza purificatrice. E tutto ciò non verrà dall’Europa che nel vuoto ha trovato un accettabile sistema esistenziale. Verrà dal Terzo mondo. Si, la guerra purificatrice verrà dal Terzo mondo”.