In un mondo di guerre le religioni non sono parte del problema, ma parte della soluzione. In questo senso possono e debbono collaborare. Ma tra cristiani ed ebrei il rapporto è specialissimo e non rubricabile sotto il titolo del dialogo religioso. Al punto che ci sono le basi, solide ed esplicite, per un vero e proprio “partenariato” di valore epocale. Si tratta di una svolta storica: che ieri al Meeting è stata presentata e addirittura incrementata attraverso il dialogo fra il rabbino Eugene Korn e il teologo Ignacio Carbajosa.
La base di lavoro è il documento sottoscritto a fine 2015 da 25 rabbini, tra cui lo stesso Korn, intitolato “Fare la volontà del Padre Nostro nei Cieli: verso un partenariato tra ebrei e cristiani”. “Riconosciamo — vi è scritto — che il cristianesimo non è né un incidente né un errore, ma un frutto della volontà divina e un dono per le nazioni. Noi ebrei possiamo riconoscere il perdurante valore costruttivo del cristianesimo come nostro partner nella redenzione del mondo”.
Per secoli, se non per millenni, ebrei e cristiani si sono guardati in cagnesco. C’è voluta una shoah perché la cristianità europea si rendesse conto del livello di barbarie cui il mostro nazista aveva condotto l’anti-semitismo; e ci sono voluti 50 anni di riflessione e di lavoro, nel mondo ebraico, per assimilare, apprezzare e tirare le conseguenze della novità espressa dal Concilio Vaticano II nella dichiarazione Nostra Aetate. Ieri è stato il rabbino a rileggere la “rivoluzione copernicana” del magistero conciliare: “Il Concilio ha condannato l’antisemitismo, ha cancellato l’accusa di deicidio e l’affermazione che la religione ebraica è falsa e annullata dal cristianesimo, riconoscendo invece che il cristianesimo trae linfa dalle radici ebraiche”.
Carbajosa ha indagato la “radice dell’atteggiamento ingiusto”, individuando “la svalutazione dell’Antico Testamento” che ha percorso la cultura teologica e poi filosofica europea, dall’utopia di Giacchino da Fiore, passando per Lutero fino all’illuminismo di Lessing e di Harnack. “Per il primo — ha detto il teologo spagnolo — l’antico testamento è il libro della fase infantile dell’umanità. Harnack tagliò corto: il tempo dell’ebraismo è finito. Una sentenza che, dopo Auschwitz, mette i brividi”. Carbajosa ha anche sottolineato però che “all’inizio non fu così” perché la fede di San Paolo come dei Padri della Chiesa “non conteneva avversione agli ebrei ma desiderio di penetrare insieme il mistero divino, sino alla partecipazione totale ad esso”. Ogni vera religiosità — ha detto ancora in sostanza Carbajosa — è non violenta perché accetta il mistero e non fa dire: io sono dio.
Ma tra veri ebrei e cristiani il legame profondissimo è molto più che con le altre religioni: perché “il mistero di Dio — ha notato Carbajosa — ha fatto irruzione nella storia con Abramo. E lì, con l’avvenimento di Dio che chiama un uomo, che nasce nella civiltà umana l’io”. Per Korn ebrei e cristiani possono come nessun altro affermare la dignità della persona perché immagine di Dio, la sacralità della vita perché il Creatore non è un Dio di morte, la certezza che è una follia irreligiosa uccidere in nome di Dio”.