L’agile e prezioso libretto di Gabriella Haeffely (Piccolo repertorio di curiosità etimologiche, Itaca, 2016) c’introduce nel mondo delle parole con un punto di vista antico, l’etimologia, cioè la ricerca del “vero”, del “reale” significato delle parole stesse.
Per secoli la nostra cultura, proprio a partire dal valore della tradizione, si è sviluppata su tale fondamento, ovvero sulla chiarezza e sulla stabilità del significato delle cose da scoprire e la loro corrispondenza con le parole che devono rappresentare le cose stesse.
Come scrive George Steiner, “questa trasmissione del valore e del senso delle parole corrisponde, a livello dell’universo simbolico, alla trasmissione di un corpus fondamentale di opere letterarie, religiose [e in ciò consiste, secondo Steiner, l’ideale classico della cultura, della civiltà], la cui autorità viene usata dalle generazioni seguenti per mettere alla prova e convalidare il loro modo di vita”.
Se pensiamo a certe parole, quali “misericordia”, “desiderio”, “destino”, “comunità”, “arte”, “mistero”, così ben analizzate nel testo della Haeffely, si capisce l’affermazione di Steiner per cui “il linguaggio articola una modalità irripetibile di comunicare la speranza”.
La scoperta di questa speranza passa attraverso quella che il critico definisce “vere presenze ” e attraverso le parole che esse ci testimoniano: il lavoro — per questo dicevamo prezioso — della professoressa Haeffely è ulteriormente “caro” perché in esso convergono presenza e senso delle parole.
Parole antiche che veicolano idee; perciò ripercorrerne la storia — l’etimo — fa comprendere la visione del mondo dei gruppi umani che le utilizzano, la loro tradizione e il loro modo d’intendere la realtà. “Nelle parole — diceva Leopardi — si chiudono e quasi si legano le idee, come negli anelli le gemme, anzi s’incarnano come l’anima nel corpo, facendo seco loro come una persona, in modo che le idee sono inseparabili dalle parole e divise non sono più quelle, sfuggono all’intelletto” (Zibaldone, 1609, 2-9-1821).
“In principio era il Verbo”: proposizione cardine e ricca di interpretazioni; per questo nel mondo greco, come in quello ebraico, dice di un rapporto con la realtà e della tensione umana a conoscerla. “Nominerai le cose”: è il gesto che Dio affida ad Adamo nel Paradiso terrestre e che secondo Dante esprime la lingua originaria dell’uomo. Da quella parola, da quella lingua, discendono le parole, eco ed evocazione — come direbbe Leopardi — di quella prima radice, di quell’originale stupore, di quella primitiva meraviglia dell’uomo.