Tre noti studiosi italiani offrono ai lettori non specialisti un’originale introduzione ai mondi dell’islam presentando alcune figure contemporanee di studiosi, autorità religiose, uomini politici di opposizione e di governo, scelti in diverse regioni per il modo originale con cui si sono interrogati sul rapporto tra tradizione e modernità, sul futuro della fede islamica e sulla sua funzione nel mondo. Contraddistinti tutti dal rifiuto di far propria l’opposizione oggi dominante nei fedeli islamici e nei loro interpreti tra l’accettazione incondizionata della tradizione originaria e il completo abbandono dell’islam in favore della modernità occidentale.
Con una preliminare notazione di metodo, il marocchino Mohammed Abed al-Jabri invita gli intellettuali arabi a riscoprire nella passata fioritura della cultura araba un evento originale e non solo la premessa alla formazione di quella europea. Nei mondo contemporaneo essi devono ritrovare la stessa forza interpretativa con cui Averroè seppe confrontarsi con la cultura greca in modo critico e creativo.
Le scienze, osserva l’iraniano Abdolkarim Soroush, possono contribuire alla miglior conoscenza della religione, di cui non sono ancelle. Non vanno quindi ricercate per gli utilizzi economici e militari ma anzitutto per la maggior consapevolezza che possono produrre riguardo ai principi di fondo della fede.
In tema di legge il sudanese Abdullahi Ahmed an-Na’im distingue fra historical Shari’a e modern Islamic public law, ritenendo legittima l’interpretazione delle norme della Shari’a in funzione del mutato contesto in cui si svolge oggi la vita delle comunità musulmane. Nel delicato e continuo passaggio tra origine e modernità si gioca a suo avviso la possibilità di una riforma dell’islam.
Il siriano Burhan Galioun ritiene che il radicalismo islamico non derivi necessariamente dalla tradizione e dal Testo sacro ma sia il prodotto di condizioni storiche determinate. Nei paesi arabi una modernizzazione monca ha sviluppato profili tecnici e burocratici ma non la società civile, provocando la radicalizzazione delle tematiche identitarie. Occorre quindi un coraggioso ripensamento che analizzi i nodi problematici dell’attuale organizzazione politica (dall’autocrazia al clientelismo) e metta al centro le concrete esigenze dei diversi gruppi sociali.
Sposta l’attenzione sulla persona l’imam turco Fethullah Gülen, che da molti decenni svolge opera educativa e di predicazione per promuovere una comprensione dell’islam di grande respiro. La fonda sullo sguardo aperto verso le altre religioni e i temi della giustizia e della pace, e sulla costruzione della persona tramite l’acquisizione di valori etici e la pratica dell’ascesi, fino all’esercizio di una funzione profetica ispirata a quella del Profeta e dei suoi compagni. Questo rinnovamento personale, radicato in particolare nella tradizione sufi, consente al fedele di affrontare senza remore i temi posti dalla modernità e nello stesso tempo individua la modalità con cui egli contribuisce al divenire del mondo. Purtroppo nel volume non è considerato il ruolo politico di Gülen, tornato evidente nelle accuse da parte del governo turco di essere la mente del recente tentativo di colpo di stato dell’esercito. L’accusa è stata pubblicamente respinta, ma sarebbe stato utile rilevare il dinamismo esistente tra riforma religiosa e riforma politica.
Sul versante più propriamente religioso Mohammed Khatami, già presidente dell’Iran, consapevole che non va umiliata la tradizione ma neppure chiuse le porte alla modernità, invita a distinguere il corpo della Verità dalla limitata conoscenza e comprensione che ogni uomo ne ha. Attingere la Verità è un cammino e il vero errore sarebbe confondere le interpretazioni della religione con la religione stessa. Non ha senso parlare di “scontro di civiltà” ma occorre procedere sulla via di un cambiamento evolutivo delle persone religiose in tutti i campi della loro vita, che non danneggerà “la Verità della religione, il Sacro e il Sublime propri della sua essenza”.
Anche per l’indonesiano Azyumardi Azra, l’islam ha una parola da dire al mondo, nell’attuale stato di crisi politica, culturale e sociale. Solo l’armonia tra le diverse religioni permetterà di evitare scorciatoie sbagliate quali l’abbandono della religione o la chiusura nel fondamentalismo. Lo stato deve promuovere il reciproco rispetto; le religioni invitare i propri membri a un percorso spirituale e conoscitivo che li apra al dialogo con credenti di altre fedi e culture. Ai fedeli islamici propone di valorizzare episodi e interpretazioni della propria tradizione orientati a questa visione. La varietà di sensibilità presenti nel mondo islamico non è conseguenza di una caduta nell’errore ma una realtà positiva voluta da Dio. Il pluralismo è un tratto caratteristico dell’islam originario e ritrovare queste vie è la sua vera riforma.
Sul rapporto tra islam e stato Malaysia, Filippine e Indonesia offrono esperienze originali in quanto stati di recente indipendenza, con esigenze di sviluppo economico e sociale, dove le comunità islamiche vivono frammiste ad altre confessioni religiose (buddhiste, cristiane, induiste). Alla Malaysia (indipendente dal colonialismo britannico nel 1957) Abdullah Ahmad Badawi ha proposto di divenire riferimento per l’Asia basando la propria identità e unità nazionale sulla pluralità di religioni e culture presente nel paese. Nel passaggio dalla tolleranza formale di stampo liberale a una coesistenza basata sul rispetto delle diversità vede la via perché l’islam ritrovi la propria funzione civilizzatrice.
Le Filippine (indipendenti dal 1946 dal protettorato americano) hanno conosciuto un forte conflitto tra cristiani e minoranze musulmane che ha prodotto episodi di lotta armata e atti di terrorismo. In questo contesto Cesar Adib Majul propone di riconsiderare le radici storiche delle due maggiori confessioni, cristiana e islamica, che condivisero l’aspirazione all’indipendenza, come fondamento di un dialogo culturale e sociale nel quale la comunità islamica si mostri capace di perseguire il bene sociale ed economico di tutta la nazione.
In Indonesia (indipendente dal colonialismo olandese dopo la guerra del 1945-49), dove l’islam era professato dalla maggioranza della popolazione, le tendenze tradizionaliste e il fondamentalismo wahhabita furono arginate dal processo di integrazione di cui si fece promotore Akmed Sukarno nella prima fase della sua presidenza, proponendo ai musulmani un atteggiamento positivo rispetto alle minoranze culturali e religiose poiché l’unità nazionale si fonda nella comune fede al “Tutto Uno Divino”, quindi nella religiosità dell’essere umano. Una visione moderna dell’Indonesia e una riflessione originale sul rapporto tra islam e modernità, osserva Nicelli, ma anche un’interpretazione dei rapporti tra le religioni con una forte componente relativista, come subito osservò l’opposizione islamista.
Ognuna di queste figure ha avuto la propria storia personale; alcuni sono esuli dai loro paesi per scelta o per necessità; pensieri e progetti circolano in ristretti ambiti intellettuali; a volte, negli ambiti ben più vasti di un’opposizione politica o religiosa, hanno ispirato la Costituzione indonesiana e alimentano il movimento Hizmet di Fethullah Gülen, diffuso in Turchia, nei paesi islamici e oltre. Questa varietà mostra che, in modo analogo a quanto accade per la fede cristiana, anche la fede islamica si modula a seconda dei tempi e dei contesti. Tante riflessioni, originate in situazioni ben diverse tra loro, indicano che sotto la dizione “islamico” non si raccoglie solo un nucleo di dogmi ma una tradizione complessa, che alimenta una varietà di esperienze d’intelletto e di fede. L’attuale opacità dello sguardo occidentale, che attribuisce erroneamente al mondo islamico una dimensione unica e totalizzante, non consente di intendere le sue potenzialità, mentre in prospettiva il primo lavoro politico e culturale dovrebbe proprio essere favorirne la fioritura.
Paolo Branca, Paolo Nicelli, Francesco Zannini, “Islam plurale. Voci diverse dal mondo musulmano”, Guida editori, 2016.